venerdì 30 settembre 2011

Xenofobia e vari preconcetti

Vado al cinema per un film – Cose dell’altro mondo – che mi delude. Ottimo spunto e buone intenzioni sprecate. Il razzismo opportunistico presente nella società veneta che vede avverarsi l’auspicio lungamente formulato. Da un giorno all’altro, misteriosamente, gli odiati immigrati non ci sono più. Non ci sono più infermiere e badanti, operai e mungitori. Tutto si ferma. E avviene di conseguenza la conversione dei cuori: il riconoscimento del valore dell’altro. Praticamente l’effetto che lo sciopero degli immigrati di qualche mese fa avrebbe voluto realizzare, senza successo. Il film però è noioso e la noia non giova alla causa.
La “mia” Ostia non è il Veneto o quel Veneto. C’è una buona integrazione, bambini di tutti i colori giocano e studiano insieme, molte coppie sono bianco/nere . Spesso nella coppia è visibile lo scambio, quando lui, ad esempio, ha 20 o 30 anni più di lei. Tu mi dai la giovinezza, io ti do la cittadinanza. Dobbiamo abituarci, senza troppo giudicare, a tante cose, anche al ritorno del vecchio matrimonio di convenienza. Però anch’io ho bisogno di tempo perché non è facile smettere le vecchie lenti. Incontro talvolta in metro una coppia sicuramente interrazziale, con un bambino di qualche mese. Lui romano che più non si può, trasandato, sciupato, fra i sessanta e i settanta. Lei bionda, gradevole, slava, più o meno ventenne. E’ sempre lui a tenere in braccio il bambino. Lei non parla e non fa niente, tranne porgere il biberon, a richiesta dell’uomo. Lui si rivolge sempre al bambino che vezzeggia e pare adorare. Ho sempre dato per scontato che l’uomo fosse il nonno e la madre gli fosse nuora. Il pregiudizio era evidentemente così radicato da non essere scalfito dalle parole del “nonno” fra un bacio e una carezza “amore mio, bello di papà”. Anch’io ogni tanto mi rivolgo a mio nipote con un “bello di mamma”. E’ solo lei, improvvisamente parlante, che fa crollare il pregiudizio, quando dice qualcosa come “stai bene con papà?”.
All’uscita dal cinema però vedo una scena finora non vista. Un’adolescente bianca 14/15 anni e un adolescente nero coetaneo che si scambiano un bacio. Una immagine più convincente del film. Non è il bacio degli adolescenti o dei giovani, coppie bianche o miste, cui assisto abitualmente, il bacio esibito in pubblico e prolungato, non per il piacere di scambiarlo ma per una (inutile) provocazione sociale. Questo è un bacio semplice e veloce. Spontaneo, senza scopo alcuno. Di due adolescenti che hanno già vinto e non hanno conti in sospeso. Un’immagine più persuasiva di ogni insistita pedagogia anti-razzista.
La sera decido di andare in piazza per il concerto di Mariano Apicella. L’alternativa, in altro spazio sarebbe l’incontro dibattito con D’Alema. Nell’intervista con Zorro, il blogger, D’Alema piglierà le distanze da Pacs, Dico e dalla Concia. Non ho perso nulla. Mi interessa di più Apicella. Mi incuriosisce il pubblico. Come sarà? Applaudirà, come sere prime un pubblico diverso applaudiva le digressioni politiche della Mannoia? O qualcuno fischierà, come osservato con la Vanoni durante un exploit forse mal congegnato contro il premier? Guarda un po’ dove cerco i segni del cambiamento del clima politico. Vado. E appena seduto, con moglie accanto, mi accorgo che il problema sono io più di Apicella e del pubblico. Chiedo a mia moglie: “Tu applaudirai?” . “Ci penserò”. Insomma non mi risponde. Ma io sono meno spontaneo di mia moglie e degli adolescenti bianconeri che si baciano. Se meriterà l’applauso, lo applaudirò? O non potrò perché mi sembrerà di applaudire il premier? Ma, se farò così, non dovrò controllare poi la fede politica del mio macellaio? Dove stiamo andando, accidenti? Apicella è abbastanza gradevole e professionale. Nessuna digressione politica, diversamente dalle “mie” Mannoia e Vanoni. Poi il pubblico. In prima fila signore popular chic ingioiellate e troppo chiaramente sue fan, sue di Apicella e sue del premier. Dialogano con il cantante e lo applaudono con calore. Vicino a me donne e uomini che applaudono con le mani alzate per esprimere consenso assoluto. Con sorpresa, davanti a me applaude allo stesso modo un giovane cui avevo pregiudizialmente attribuito appartenenza ai radical chic, notoriamente avversi al governo attuale e al suo stile. Come può applaudire un giovane in jeans e con polo dal colletto, con trascuratezza snob, metà dentro metà fuori il maglioncino a V? Questo doveva essere un giovane che partecipa alle liturgie antiberlusconiane, non che applaude Apicella. E io? Proprio l’entusiasmo dei fan mi convince a non applaudire comunque. Ma, insomma, non si può dire che mi goda il concerto. Fra l’altro ho mia moglie a sinistra (in tutti i sensi), con le mani rigorosamente in grembo, e una signora a destra (in tutti i sensi) che è fra le più accanite con le sue braccia alzate in applausi continui. E poi mi scruta, prima come per interrogarmi “perché non applaudi?”, poi critica severa ad ogni mio mancato applauso. Temo di aver avvelenato un tantino la sua serata. Termina infine il concerto e mi vien fuori un applauso di congedo. Di compromesso. Di liberazione. Di pacificazione. Con Apicella. Eventualmente col mio macellaio. Un auspicio di tempi meno faziosi.

martedì 27 settembre 2011

Cosa siamo diventati


Mi serve davvero come appunto personale. Praticamente non ho nulla da aggiungere, se non il titolo di questo post, a commento dell’episodio di cui abbiamo avuto tutti notizia. Domenica mattina, nello storico Caffè Platti di Torino, una donna di 66 anni, frequentatrice abituale del locale, si è chiusa in bagno e si è sparata alla testa. Il locale non ha ritenuto di sospendere l’attività. Quando informati dell’accaduto, con l’arrivo dei vigili del fuoco prima e dei necrofori dopo, alcuni clienti sono andati via, altri sono rimasti a consumare vari rinfreschi che il bar ha continuato a servire ai tavoli. Una foto, da archiviare perché tanto rappresentativa dei tempi che stiamo vivendo (che abbiamo scelto di vivere), mostra signore sedute all'aperto che volgono il capo verso il furgone che porterà via il cadavere; un'altra resta così com'era seduta, con le spalle al furgone, occupata con un oggetto (un cellulare, è probabile) in mano. Avrei potuto annotare prima – mesi fa, anni fa – fenomeni analoghi. Gli accaldati bagnanti sulla spiaggia, fra un tuffo e l’altro, con al centro un cadavere pietosamente coperto. I passanti che nella metropoli italiana aggirano frettolosamente, o addirittura saltano, il corpo senza vita che ostruisce il marciapiede. Lo faccio adesso perché nella succinta e ingenua spiegazione della proprietaria ci sono risposte che aiutano a capire.
Dice la proprietaria. “Non ho chiuso il bar perché non mi è sembrato opportuno; si è trattato di un fatto molto grave, ma voluto dalla signora”. “Un fatto molto grave” - bontà sua – ma “voluto dalla signora”: ecco la discriminante. Si può aver pietà delle vittime della violenza altrui e solo di queste. Per analogo sentire, Piergiorgio Welby, che chiese di morire, non poté avere i funerali religiosi, chiesti dalla moglie, cattolica.
La titolare continua:” Perché chiudere il bar? Aspettavo per pranzo 100 turisti in arrivo da Milano ed il locale era pieno di gente. Io devo pensare al locale, a pagare i dipendenti …”.
Per me è l’inconsapevole (e perciò più vero e definitivo) epitaffio sulla banda dei quattro: Crescita, Mercato, Consumo, PIL.