martedì 30 dicembre 2014

Norman Atlantic: per ricordare che la convivenza è un miracolo


Dopo le notizie dell'impegno e del sacrificio di molti soccorritori ora arrivano le notizie sgradevoli. La lotta dei passeggeri in pericolo per aggiudicarsi la salvezza. La lotta per raggiungere la fune dell'elicottero e la salvezza. Anche scavalcando e picchiando i più deboli. Così dicono i soccorritori: "Mai visto nulla di simile; minacciavamo di andare via". Nessuna sorpresa, vero? Io sono io e tu sei niente per me. Così è in fondo. E questo avviene nel piccolo senza autorità, e in grande senza politica. O senza quella rara "anomalia" chiamata altruismo, eroismo, etica, etc. Una lezione che si rinnova per ricordarci di apprezzare quella convivenza che ci sembra ed è di scarsa qualità, ma che è un miracolo conquistato per prove ed errori da generazioni di umani. Avevo appena finito di leggere Cecità di Saramago. Strana coincidenza. I grandi scrittori ci mostrano come altri non sanno fare quello che siamo e che continuamente dobbiamo domare. Inventando ogni giorno la convivenza civile, la civiltà.

lunedì 29 dicembre 2014

L'impotenza che sgomenta


Condivido lo sgomento dell'operatore turistico greco che si chiede come sia possibile. Passano le ore e la salvezza non arriva. La Norman Atlantic incendiata e alla deriva. Non nell'oceano ma quasi in una vasca da bagno. Nelle poche miglia di acque fra Patrasso e le coste italiane. La tragedia del Titanic sempre in agguato. La mobilitazione di navi, aerei, elicotteri e tecnologie del mondo intero assurdamente incapace di liberare dall'incubo centinaia di passeggeri esposti al gelo per sfuggire al rogo. Come il Titanic, come la Costa Concordia, come le Due Torri, come sempre. Come sempre imprigionati in scatole che si dimostrano mortali. Per imperizia. Perché ci crediamo onnipotenti. Perché non conviene rimandare un viaggio. Perché non vale la pena di pagare i costi per la revisione di paratie anti-incendio. Perché affidiamo la progettazione di piani di evacuazione al nipote del caro amico che ha assunto nostro cugino.

sabato 20 dicembre 2014

Archivio rossodemocratico: Ballarò e le due culture


Televisione:Ballarò e le due culture post pubblicato in diario, il 16 dicembre 2009 Ieri, 15 dicembre, a Ballarò un Floris meno timido del solito. Alla Gelmini che obietta a Rodotà di essere uomo di sinistra, Floris, sorridente: "E' una malattia?" 1) Alla Gelmini che risponde a Floris con una domanda "Pensa che basti spendere di più nella scuola per migliorarne la qualità?" Floris replica con altra domanda "Ministro, pensa che basti spendere di meno per migliorarne la qualità?" 2) 1) Lo scambio dialettico è sintomatico delle due culture, su alcuni piani assolutamente opposte, che oggi si affrontano. Per la destra la collocazione a sinistra è "contronatura". Politica é sinonimo di faziosità. Il magistrato iscritto a Magistratura Democratica é di sinistra, comunista e fazioso. Non può essere obiettivo. Intollerabile è altresì che un magistrato vada in televisione o esponga una tesi politica. Il magistrato non deve avere opinioni politiche ( cioè deve essere uno stupido?). O magari può averle, ma deve tenerle riservate e private, come la sessualità e le funzioni corporali. Perché la politica è una cosa sporca? Qui si evidenzia il frequente cortocircuito fra destra e qualunquismo. Per la destra in buona fede le opinioni espresse da un magistrato o (da un giornalista) di destra non sono parziali o "politiche", sono la rappresentazione obiettiva e naturale della realtà. Per un democratico l'orientamento politico é un diritto (ed un dovere civico, nel senso di attenzione alla polis) e non può entrare in conflitto con il dovere di imparzialità, nel senso di attenzione al prossimo - chiunque sia - e alla verità - comunque si manifesti. Vale per il magistrato, come per il giornalista, come per il chirurgo. 2) La critica ai tagli ed alla non riforma della destra, nulla toglie al bisogno di un'autocritica a sinistra per una politica della scuola troppo appiattita sulle posizioni del sindacato. Forte é invece la necessità di innovare nel sistema di istruzione, università e formazione in termini di valutazione (dei docenti e degli studenti), di nuovi obiettivi formativi e di spostamento di risorse nel comparto, per esempio verso la formazione permanente e degli adulti.

venerdì 19 dicembre 2014

I paradossi di Luttwak e il sonno della ragione


Ad AnnoUno ieri esibizione di paradossi dello spregiudicato Luttwak. Si strappa platealmente l’auricolare per dire No agli argomenti della giovane islamica in studio. Lo fa più volta e curiosamente Giulia Innocenzi su limita a contestarlo educatamente ma non gli taglia il collegamento. Per Luttwak il velo dell’islamica in studio è un segno di identità paragonabile alla svastica. Addirittura. Come il velo delle suore cattoliche? O come tingersi i capelli di biondo? O come portare la coppola o il borsalino? La contro-obiezione di chi viene in soccorso di Luttwak è: “Ma noi siamo libere di colorare i capelli o non colorarli”. Un po’ vero. Un po’. Un po’ più libere. Fino ad un certo punto. Se non si è conformi ai modelli in Occidente non si rischia né di essere uccisi né di essere diseredati e cacciati da casa. Si rischia al più la solitudine, l’irrisione e il bullismo. Comunque qualche differenza c'è. E’ bene non rispondere alla faziosità para-razzista con la faziosità di segno contrario di chi nega ogni differenza. Infatti in Occidente quasi tutti (me compreso) siamo felici di non vivere in un Paese islamico pur relativamente tollerante che sia. Per quanto mi sforzi di entrare nelle ragioni dell’altro, mi è difficilissimo però prendere sul serio il secondo spregiudicato paradosso del divo Luttwak. Gli si fa notare che la civile America pratica spregiudicatamente la tortura: minacce di esecuzione, privazione del sonno, immersione in acqua per procurare panico da annegamento (waterboarding). Per conservare un minimo di stima sulla intelligenza di Luttwak avrei preferito una giustificazione del tipo: “Se anche una sola tortura è servita ad evitare un attentato terroristico, ben venga la tortura”. Un corollario possibile: “Comunque i sospettati non saranno certamente angioletti. O anche: “Al massimo ci saranno un paio di innocenti fra centinaia di torturati; pazienza”. Si sarebbe potuto contro-obiettare: “Ma questo scredita gli Usa, indebolisce la ragioni della democrazia e finisce per fornire alibi al terrorismo”. Sarebbe stato un utile dibattito. Niente di tutto questo però. Luttwak invece dice: “Non so se il waterboarding possa chiamarsi tortura. A queste pratiche vengono sottoposti i piloti americani. A scopo di esercitarsi al peggio in caso di cattura”. Mi assale il dubbio di averlo frainteso. Ciò che i piloti americani scelgono consapevolmente di subire in addestramento, sapendo – immagino – di poter in ogni momento dire stop, magari rinunciando a progressi di carriera , è davvero confrontabile all’arbitrio assoluto della tortura? Ma sì, ho capito bene. Luttwak ripete il suo spregiudicato concetto. Addestramento e tortura sono la stessa cosa. Come velo islamico e svastica. La ragione nel mondo si va appisolando.

martedì 9 dicembre 2014

IN MEMORIA DI LORIS: CHI DIFENDE I CUCCIOLI DELL'UOMO DALLA FAMIGLIA?


"Sono garantista, bla, bla, bla". "Aspettiamo di sapere, bla, bla, bla". Comunque non abbiamo protetto Loris. Eravamo occupati in altro. Anche io lo ero. Rispondere acutamente all'acuta provocazione dell'amico fb. Dividersi pro o contro il nulla del Jobs Act. Attaccare la Merkel che osa criticare l'Italia. E sciocchezzuole simili. Siamo impegnati a inventarci ricette per il lavoro, fingendo di avere ricette. La follia conquista le menti. Appare addirittura ragionevole pensare che scommesse, videogiochi, prostituzione (e anche guerre..) possono essere benedetti se "creano lavoro". E pare non ci venga in mente l'immenso lavoro di cura cui dovremmo chiamare legioni di psicologi, sociologi, educatori sessuologi. Quelli veri, da formare veramente. Non solo questo. Prima la fatica del pensare, dell'immaginare e del capire. Capire che è in atto il divorzio fra la famiglia come la abbiamo conosciuta e la vita disorientata fuori di essa, fra stimoli, seduzioni, valori incompatibili. Con l'infelicità invisibile di troppe donne, prive di aiuto in città amorfe che non vedono, non sanno e non aiutano.

domenica 30 novembre 2014

Art. 18 e bene comune


Federico Rampini su Donna, supplemento di Repubblica di sabato, 29 novembre, “Oggi attore, domani cameriere: così si cresce a Manhattan”, racconta del figlio che fiduciosamente transita da impiego ad impiego nella metropoli iper-competitiva degli Usa. Nessuna scuola alberghiera e nessuna scuola per attori. Preferibili i vantaggi della flessibilità e dell’inserimento e ri-posizionamento negli spazi aperti di un’offerta vasta, rispetto all’investimento in lunghi percorsi formativi dagli esiti incerti. Lo leggo come una critica implicita ai conflitti di retroguardia sull’art. 18 e cose simili. Poiché condivido Rampini, tranne le mie diverse conclusioni, domando a me stesso: “ Vado a destra? Vado a destra se non provo entusiasmo per le battaglie della CGIL e di Landini”? Non capisco se dica davvero Landini parlando di diritti da estendere e non comprimere. Diritti che prescindono da penuria e catastrofi? E non capisco, d’altra parte, cosa voglia dire il premier affermando che vuole togliere alibi alle imprese. Questo conflitto (con annessi imprenditori “eroi” , impenitenti scioperanti scioperi e manganellate) è solo per togliere alibi, sapendo che altri alibi (ma diciamo pure “ragioni” ) potranno facilmente essere trovati ? Poiché credo di pensare “a sinistra” mi chiedo –ma è una domanda retorica giacché ho già la mia risposta – se “sinistra” è credere ad un posto, sempre quello per tutta la vita. Se “sinistra” è rifiutare che le imprese evolvano seguendo la domanda e che le risorse si muovano nel globo cercando il loro impiego ottimale. Se “sinistra” è la lotta contro le delocalizzazioni per difendere lavoratori italiani contro lavoratori sloveni e domani viceversa. Se “sinistra” è credere che una indossatrice sia indossatrice per sempre e un insegnante sia insegnante per sempre, magari con qualche piccolo aggiustamento e con la mitica “formazione”. Se “sinistra” è credere che bisogna essere reintegrato in un posto di lavoro da un datore di lavoro che non ci sopporta, come da un marito prepotente da cui non possiamo separarci. A me pare che una sinistra siffatta chiede ciò che è irrealizzabile o è realizzabile a costi inaccettabili. E che chiede troppo poco. Inventarono la proprietà privata e il mercato. E gli espropriati da allora si difendono distruggendo, come i luddisti distruggevano le macchine. Perché il luddismo è insuperabile nell’ottica sindacale. Distruzione contro distruzione. Perché anche i proprietari distruggono in altro modo. Licenziando verso il rischio assoluto o il nulla della inoccupazione. O spopolando le colline, abbattendo argini e biodiversità. Ogni tanto, i più piccoli, perché i grandi non possono fallire, facendo fallimento e scegliendo il suicidio. No. Il riformismo ha spazi ristretti. Le contraddizioni non sono risolvibili con distruttivi compromessi. Si risolvono, non arrampicandosi sulla parte scivolosa, ma saltandola verso l’utopia socialista e verso il compromesso alto con proprietari (finché ci saranno) e con il mercato. L’utopia che ci vuole tutti comproprietari del mondo. Sicché ognuno si relazioni col tutto, sapendo di non essere un costo per il tutto. Il tutto, il bene comune, non può volere che siano frenate l’elettronica e i robot che risparmiano lavoro perché non sia minacciato il lavoro operaio. O che l’occupazione sia stimolata da guerre e produzione di armi. Il bene comune non può volere che mi annoi ed annoi i miei allievi insegnando perché altro non posso fare per mantenere il posto. Io, insieme al tutto, la collettività, nell’ottica del bene comune, decideremo come io non debba essere sprecato. E il bene comune non mi chiederà di andare in pensione troppo presto o troppo tardi. Il bene comune riderà a crepapelle (o ci manderà al diavolo) scoprendo che inventammo la categoria tragica degli esodati. Il bene comune semplicemente mi darà di più se lavoro fino a cent’anni e mi darà di meno se lavoro fino a cinquanta. Insomma, non è il mercato (o il capitalismo, se è possibile nominarlo) il regno della flessibilità e della libertà. E’ il bene comune il regno della flessibilità ovvero dell’evoluzione, della carriera ascendente, discendente e trasversale, della libertà massima e sostenibile. Lì, nei confini del bene comune, decideremo cosa affidare allo Stato, cosa alla cooperazione, cosa al lavoro autonomo e all’impresa privata. Attenti a che nessun sindacato, corporazione, lobby o multinazionale minacci il bene comune. Abbiamo sbagliato gravemente qualcosa nella ricetta del socialismo. Abbiamo sbagliato catastroficamente. Certamente nell’immaginare di poter sospendere la democrazia in attesa di una democrazia più alta che non poteva però essere l’obiettivo degli oligarchi ma solo l’ideologica giustificazione dell’oppressione. Tutto è stato sbagliato. Ma anche questo mondo è sbagliato e senza rimedi possibili. Altro che art. 18! Sbaglieremo ancora. Ma non c’è speranza altrove se non nel socialismo. Saremo accorti dandogli altro nome. Nell’attesa, se decidessimo di partecipare al prossimo sciopero generale contro l’abrogazione (o quasi) dell’art. 18, facciamolo pure. Sapendo di combattere una battaglia difensiva nell’interesse di alcuni, contro l’interesse - politico soprattutto – di altri cui l’aspra tenzone col sindacato dà lustro. Purché si riconquisti la consapevolezza che tutti combattiamo scaramucce di retroguardia e che, contro la pigrizia del senso comune, bisogna riattrezzare le menti a ben altre battaglie.

domenica 23 novembre 2014

Scalfari, Renzi e Francesco


Leggendo Scalfari oggi, mi accorgo di tre cose. La prima è che avverto una sincerità estrema che forse è il frutto della sua età di ultranovantenne e della lontananza progressiva dalla politica politicante. La seconda è che il suo pensiero guarda sempre più a sinistra piuttosto che al laicismo liberal. La terza è che mi accorgo che dice quello che ieri pensavo anch’io leggendo la lettera di Renzi a Repubblica. Scalfari infatti dice di condividere quella lettera. Anch’io l’ho condivisa. E mi sono detto: “Magari Renzi agisse coerentemente con quanto scrive”. Vedo che un po’ tutta l’opposizione entro il PD condivide o non contesta la lettera. Renzi rassicura che il PD non gli appartiene. Che non risponde al vero che il PD abbia un solo uomo al comando. Scalfari obietta che sarebbe bello fosse così, ma non è così. E sulle riforme Scalfari obietta ciò che inutilmente continuano ad obiettare “conservatori “ veri o presunti . Che non basta riformare perché si può anche riformare peggiorando le cose. Poi osserva che quel poco che si è fatto è pessimo. Quel poco è il fatidico bonus con il quale – dice Scalfari – si sono sprecati 10 miliardi che avrebbero potuto avere impieghi assai più utili. L’ultimo Scalfari è assai vicino a Francesco. Lo cita nel corpo dell’articolo sul tema delle nuove povertà. Poiché neanche a me piace essere solo, mi riempiono di conforto le parole con cui Francesco mette molto concretamente o molto ideologicamente (ma è la stessa cosa perché il contrario di “concreto” è dire parole inutili, non formulare principi o “ideologie”) contesta le responsabilità sulle povertà. La povertà che noi combatteremmo solo quando ci saranno i soldi. Ma la mancanza dei soldi è solo l’alibi per la nostra indifferenza di Narcisi. Traduco così: non ci saranno mai soldi per combattere la povertà, se prima di dare un tetto al povero sembrerà normale assicurare la terza casa al ricco; se prima di liberare il povero con quel che serve per liberarlo, dovremo fare 100 porti turistici che danno lavoro e bla, bla, bla. Se non cambia il nostro sguardo sul mondo non si vincerà mai la guerra contro la povertà. Altro che soldi…. http://www.repubblica.it/politica/2014/11/23/news/le_nuove_povert_c...

domenica 16 novembre 2014

Andiamo a quel paese. In che senso?


Dopo l’impegnativo Leopardi di Martone, sono andato a cercare la leggerezza di Ficarra e Picone di Andiamo a quel paese. Sperando di sorridere e anche per rivedere la mia Sicilia e ascoltare la lingua della sua gente. Accipicchia, vedevo e assaporavo le immagini di posti - rocce, vallate e chiese barocche - noti, ma non sapevo dire quali fossero. Ho appreso dopo che si trattava di Rosolini, più volte viistata, a un tiro di schioppo dalla città in cui vivevo. Rosolini è l’immaginario paesino di Monteforte, paesino natio in cui Ficarra e Picone ritornano per il fallimento delle esperienze di vita e lavoro a Palermo. Il film è un buon esempio della nuova commedia italiana impegnata a far sorridere delle sciagure nazionali, talvolta aiutando a scoprirne il senso. I due provvisoriamente falliti cercano inizialmente di sbarcare il lunario da semplici parassiti che sfruttano la protettiva e generosa rete familiare. Come molti. Come sempre più. Così Ficarra, ospite della suocera, rivela però il suo spirito d’impresa. Cos’ è l’imprenditore se non chi chiarisce a chi ha bisogni, spesso inconsapevoli, la natura dei suoi bisogni e attrezza risposte? Ficarra scopre il bisogno di socializzazione di anziani soli e autosufficienti. Prepone così un servizio più personalizzato e familiare di quanto non possa essere la moderna Casa di riposo. La casa della suocera e quella dell’amico Picone (che al solito subisce) sono i mezzi di produzione. Mentre le pensioni degli ospiti sono il profitto. Funziona tutto bene. Tranne che la morte degli ospiti in una serie di eventi sfortunati fa crollare tutto. Un po’ come quando il volo della farfalla in Brasile ovvero una scoperta o una crisi che viene da lontano vanifica l’intelligenza imprenditoriale. Che magari dovrebbe rendersi conto di non essere il solo artefice della propria fortuna/sfortuna. Ma questo è un volo pindarico, leggermente malizioso. Torniamo al detto del film. Poiché è un vero imprenditore, Ficarra comunque non spreca la sostanza di quanto ha intuito. La sostanza è che il paese (e il Paese) altra risorsa non ha che il monte pensioni accumulato dalle vecchie generazioni e che oggi è prevalentemente disponibile nelle pensioni di reversibilità di cui dispongono le anziani abitanti. Allora in una economia dell’emergenza che pretende re-distribuzioni la soluzione minima è sposare una pensionata. Se possibile farla sposare all’amico Picone. Non importa il finale del film. Importa che l’intuizione di Ficarra si trasmette a una generazione di giovani che scelgono l’ozio o ai quali è stato assegnato l’ozio. Si generalizza quindi nel paesino del Sud il corteggiamento con serenate dei giovani verso le anziane “abbienti”. “Abbienti” nel senso che hanno magre ma sicure pensioni, più sicure degli impieghi casuali e precari). Qui gli autori – gli stessi Ficarra e Picone – propongono note delicate: la consapevolezza da parte delle pensionate della natura del gioco. Conoscono l’inganno e scelgono di viverlo. Insomma ho sorriso e anche riso in sala. Uscito, ho incontrato, come spesso, nel centro di Ostia, “strane” coppie. “Strane” rispetto a quelle che una volta erano le coppie. Molti pensionati ad esempio che stringono il braccio o la mano di giovani slave o rumene. Non più l’eccezione dell’anziano benestante e della giovane partner. Ora il frequente scambio pubblico di reddito (anche modesto) e giovinezza. Effetti salvifici della globalizzazione che distrugge e poi cura (talvolta). Mutatis mutandis, lo scenario disegnato da Ficarra e Picone mi è sembrato plausibile. Impossibile avviare i giovani al lavoro. Perché le imprese licenziano e delocalizzano. Non possono essere trovate risorse nuove né per formare davvero i giovani né per fornirli di “doti” che li sostengano nell’avvio ad un lavoro autonomo. Non possono essere aumentate le tasse sui redditi più alti perché si perderebbe consenso e si griderebbe al socialismo. Tanto meno è lecito parlare di patrimoniale. Si potrebbe racimolare qualche spicciolo dal taglio sugli stipendi pubblici più alti perché gli impiegati e dirigenti pubblici sono più garantiti e più antipatici dei privati. Ma in questo la Corte Costituzionale spesso blocca tutto. Non resta che la redistribuzione con le buone o le cattive fra anziani e giovani del ceto medio e medio basso che precipita in giù. Con le buone o con le cattive. Con le “buone” delle paghette o dei matrimoni inter-generazionali suggeriti da Ficarra. O con le “cattive” della espropriazione che le avanguardie del “nuovo” cominciano a proporre nei talk show, come saggiando il terreno. Perché l’erosione lenta, tropo lenta, da mancata rivalutazione delle pensioni potrebbe non bastare. Un grazie a Ficarra e Picone.

sabato 15 novembre 2014

Leopardi o Napoli secondo Martone


Sento il bisogno strano di giustificarmi. Non sono ancora libero quanto vorrei. Non sono riuscito fin qui a formulare un commento sul Giovane favoloso di Mario Martone. Al contrario, ho subito avuto voglia di dire qualcosa su Ficarra e Picone e il loro Andiamo a quel paese. Lo farò presto. Adesso però provo a dire brevemente del Leopardi di Martone. Un film caratterizzato da grande attenzione filologica e grande investimento di studio e cura dei dettagli. Ma l’analisi – ritengo sempre – non può contraddire il dato sintetico. Mi ha emozionato o no? No. Solo nel finale. Il Leopardi ultimo, a Napoli. Ma direi che emozionante è la Napoli del napoletano Martone. La Napoli che si riesce ad amare, malgrado tutto. La Napoli in cui, secondo Martone, Leopardi recupera il piacere dei rapporti umani e il gusto dei sapori nella convivialità. In un improvvisato banchetto con uomini semplici. Poi c’è la Napoli dai colori vivissimi delle grotte della suburra e delle accoglienti prostitute con cui Leopardi cerca vanamente l’iniziazione sessuale. E infine l’eruzione del Vesuvio, immagine dell’Apocalissi, che accompagna stupendamente il recitato della Ginestra che ammetto di avere così riscoperto nella sua straordinaria intensità. Poco ho sentito nel Leopardi di Recanati e di Firenze. Mi si è impresso invece l’ammonimento del poeta: ” Non attribuite al mio stato quello che si deve al mio intelletto”. La rivendicazione impossibile e pur necessaria dell’autonomia del pensiero. L’ho attualizzata nella mia frequente polemica contro i molti che oggi scelgono la via facile della delegittimazione delle tesi che non sanno contrastare con argomenti personali del tipo: “Però lui è massone (o figlio di massone)” , “Però è vecchio”, “Però è giovane”, “Però è troppo carina”. Insomma, anch’io, come tutti, prendo quello che la mia mente può e vuole prendere dall’unità presunta dell’opera artistica.

venerdì 14 novembre 2014

Il patriottismo dei maschi di Tor Sapienza


Se ho ben capito i maschi italiani o almeno quelli di Tor Sapienza rivendicano il diritto che a far violenza alle donne italiane siano italiani doc. Possibilmente nel comfort dell'ambiente domestico. Se si azzarda un rumeno, saranno dolori. E, se non si rintraccia il rumeno, sono dolori per neri e musulmani.

giovedì 13 novembre 2014

Se l'emergenza ci fa incontrare la ragione


E' solo una speranza. Una possibilità. Ieri a Radio24 ascoltavo "La versione di Oscar". Un ascoltatore ha posto sul tappeto una questione di una ovvietà disarmante che nondimeno non riesce a farsi pensiero comune. A proposito di disastri colpevoli ad ogni scroscio di pioggia: "Ma perché non realizzare un progetto straordinario e serio di messa in sicurezza utilizzando chi oggi è disperato e senza reddito?" Ovvio, no? Assai più che mantenere e retribuire con paghette e anche con rapine e "redistribuzioni improprie" giovani e non giovani inoccupati. La sorpresa per me è stata il consenso del "liberista" Gianino: "Certamente. Si può fare. E' ragionevole. E' una pratica keynesiana". Ho sorriso un po' di soddisfazione, un po' ironicamente. Citare Keynes e la risposta americana alla grande crisi con massicci investimenti pubblici serve per "coprirsi" e giustificare l'ovvio. Meglio che niente. Magari poi - chissà - capiremo che lo spreco di uomini nell'inattività forzata è sempre inaccettabile. Non solo nelle emergenze. L'importante è non usare parole "sbagliate". Non parliamo di "socialismo" quindi. Copriamoci con Keynes. E inventiamo parole nuove. E' un sacrificio che si può fare. In attesa che torni la ragione.

domenica 9 novembre 2014

La guerra delle precedenze


Ieri sera una persona a me cara mi diceva sconsolata che la fatica inimmaginabile che pratica da mesi per superare un concorso ed entrare nel paradiso dei garantiti si dimostra inutile. Inutile lo studio. Inutili le giornate senza pause fra lavoretti precari, accudimento della figlia e studio. Inutile essere stata fin qui prima nelle prove di pre-selezione. Perché il punteggio premiale assegnato ai precari della Regione a conti fatti quasi certamente non la collocherà fra i vincitori. Si sa, è così complicato equilibrare le ragioni della competenza con quelle del bisogno! Anche perché non sappiamo tenerle insieme se non facendo pasticci. Resta il rammarico di non averlo saputo o capito prima per evitarsi uno stress e un costo inutili. Stamani mi reco al Cup dell'ospedale per una prenotazione. Confronto il mio numero con quello che lo sportello di quelli “senza precedenza” sta ora chiamando. Un centinaio prima di me. Do un'occhiata allo sportello che gestisce invalidi con precedenza. Una cinquantina più o meno, in attesa. Girovago fra bar e corridoi. Poi torno a guardare il display. Mi accorgo che la fila dei variamente invalidi è lentissima. Chi ha preso doppio scontrino spesso arriva prima nella graduatoria dei "normali". Mi consolo un po'. Forse me la caverò in meno di due ore. Rifletto che sarebbe bene che gli ammalati studiassero un po' di logistica, statistica e cose simili, in attesa che la mitica digitalizzazione tutto risolva. Intanto consumo l'attesa, scrutando la vita degli altri. Cos'altro fare? C'è una signora con bastone che interpella ognuno di quelli che la precede. Ricevendo sempre implacabili no. Succede poi che una signora apparentemente in migliore salute le risponde gridando duramente. Non è in migliore salute. Descrive vivacemente il suo cancro e le sue peripezie in modo che tutti ne siano informati. Le impiegate assistono impassibili. Non so quale training pratichino per restare impassibili di fronte ai conflitti che le oppongono agli utenti e di fronte ai conflitti in seno al popolo degli invalidi. C'è lo spunto quasi divertente che mi offre una signora elegante. Riceve il no da un giovane immigrato che accompagna un anziano. Urla allora contro "Sti immigrati che ci portano le malattie e ci tolgono il lavoro". La signora ha capito molto del tempo che fa, ma non tutto. Non riceve la solidarietà che cercava attorno a sé. Perché va bene dargli addosso all'immigrato per l'Italia incattivita. Ma la signora non ha capito che anche le signore eleganti sono nel mirino. Non vanno bene gli immigrati che ci tolgono – si dice – lavoro e posti negli alloggi assegnati e negli asili. Ma non sono gradite neanche le signore eleganti. Infatti gelo degli astanti. Nessuna solidarietà. Infine la scena più patetica. L’ultranovantenne che, forse anche lui interpellato per cedere il posto, non protesta, non sbraita, ma, con un filo di voce, racconta, come per giustificarsi: “Sono venuto qui solo; non so se riesco a prendere l’auto; sono stanco; non voglio più anni (un modo pudico per dire che è stanco di vivere); certe volte sento mia moglie che mi chiama (la moglie morta evidentemente)”. E qui la voce gli si spezza. E molti hanno gli occhi rossi mentre le impiegate continuano impassibili a ricevere proteste. Ma è il mio turno allo sportello dei pazienti “normali”. Bene. Ora farò relax al supermercato. Non ho neanche bisogno del carrello. Solo quattro cose da comprare. Le compro e vado alla cassa. Solo un cliente davanti a me. Uno dietro. Sto per poggiare le mie cose alla cassa, ma quello dietro mi dice: “Le dispiace? Ho solo questo”. E’ una variante della italica furbizia. Di quella che fa andare a letto sereni se almeno una volta nel giorno hai fregato qualcuno. Solo un tantino. Perché non siamo criminali. Solo furbi. Sappiamo stare al mondo. Come il signore che mi chiede di cedergli il turno perché ha solo tre cose da pagare mentre io ne ho quattro. Ah, sì, glielo cedo. Non mi costa molto farlo felice.

martedì 4 novembre 2014

Fabrizio Barca ad Ostia

Ieri sera, presso il circolo PD di Ostia Centro, incontro con Fabrizio Barca sul tema "Il destino dei partiti in Italia. Pubblico giovane e pubblico anziano (poco presenti 40-50enni). Pubblico sostanzialmene convergente con le tesi di Barca. In sintesi. Il Partito Democratico in Italia è l'ultimo che somigli a un partito. Con alcuni però. Critico Barca verso il partito americano immaginato da Veltroni. In Usa le frequenti elezioni anche per cariche “minori”, non elettive in Italia, danno consistenza al partito e alla sua militanza. In Italia il partito leggero rischia di evaporare del tutto in un comitato elettorale a sostegno del leader. Già ora in Europa i partiti hanno consistenza diversa rispetto all'Italia della seconda Repubblica. Critica netta allo statuto del PD che associa segretario e premier. Il partito deve essere il luogo di sintesi ed elaborazione anche di ciò che promana dai movimenti e del tutto distante dalle istituzioni di governo. Barca cerca di non apparire “contro”. Mette insieme il partito “inclusivo” di Renzi, quello “accogliente” di Civati e il suo che chiama “sperimentale”. Cioè attento al monitoraggio degli esiti delle proprie azioni e pronto a revisioni entro una certa cornice di valori. Che pare dissiparsi, credo voglia dire Barca. Critica netta anche riguardo la Direzione pletorica – 150 membri – impossibilitata a decidere alcunché. Abilitata solo a “mettere il bollo” su quanto deciso dal segretario. Servirebbe invece una vera Direzione, non di monologanti ma di decidenti attorno ad un tavolo di lavoro. E' il persistente appello ad un partito come intelligenza collettiva. Che non ha bisogno di “saggi”, ma della intelligenza diffusa nei territori. Unico momento in cui Barca alza la voce, rivendicando il diritto di alzarla, è nella critica palese all'ultimo discorso del segretario-premier presso Confindustria Brescia. Non tanto nel merito dell'attacco al sindacato giacché Barca ritiene che il sindacato vada profondamente rinnovato. Quanto nel fatto stesso che un tale attacco venga formulato in casa di chi non può che consentire. Troppo facile così, sembra dire Barca. Renzi formuli le sue critiche al Sindacato in casa del Sindacato. Ed eventualmente (ma questo è un mio malizioso avverbio) a Confindustria in casa di Confindustria.

domenica 2 novembre 2014

Sul trenino di Ostia


Lei è una fra i molti che chiede elemosina sul trenino. Di quelli che non hanno gli 80 euro perché non li spenderebbero per fare ripartire l'economia, l'economia che non riguarda lei e neanche le persone perché l'economia riguarda solo l'economia. Che poi l'economia degli economisti non riparta è un dettaglio. Ma - dicevo - lei è anziana e di lingua spagnola. Non finge di suonare né di lavare vetri. Semplicemente chiede una moneta. In cambio una parola: "cioccolato" se si rivolge a una bruna o una nera, "bionde", o qualcosa di simile, se si rivolge a una bionda. Davanti a me un uomo e due ragazze graziose ed eleganti, nerissime e che parlano italiano assai meglio degli italiani con genitori italiani. Infatti l'uomo davanti a me,inveendo contro la mendicante invadente, si rivolge a loro, come a chiedere solidarietà, perché la bellezza, l'eleganza e l'italiano perfetto le scoloriscono agli occhi del razzista verace. Io grido inutilmente: "Basta". Accanto a me un americano che si prepara alla rituale visita ad Ostia Antica, urla con veemenza NO alla richiesta di elemosina. Sicché lei replica: "SCEMO" con altrettanta veemenza. Sto con lei e sorrido felice della sua reazione. Poi arriva il controllore. Le intima di scendere ad Acilia. Ma si capisce che gioca una parte. Infatti si allontana. L'americano guarda come un giudice severo del costume italico, immagino. Curioso di vedere se ci azzecca. E certo che sì. Infatti lei non scende alla fermata di Acilia. Lui e l'altro di fronte a lui sbottano, ma lei sorride maliziosa. La realtà è più morbida e complessa delle semplificazioni della politica e dei suoi leader. Mi accorgo che sto con lei, con la mendicante, e sto anche col controllore che gioca la parte. Sto con l'Italia che non trova ordine e giustizia, ma che almeno non pretende di farli a sproposito. Ad Ostia Antica l'americano e lo sciagurato mio connazionale scendono. Così mi godo la felicità della mendicante spagnola.

sabato 25 ottobre 2014

Lepolda, Roma o...?


Non andrò alla Leopolda. Non avrei neanche immaginato che ci sarebbe stata una nuova edizione dell'evento che lanciava sulla scena politica un nuovo leader. Un leader oggi vincente e stravincente, nel partito e nel governo. Quasi senza opposizione. Malgrado i frequenti cambi di rotta, malgrado la crisi che continua a mordere, malgrado un governo così così, di comprimari, giovani volenterosi. Con elargizioni di 10 miliardi in bonus a chi un lavoro ha e di 500 milioni a quelli che mettono al mondo un figlio. Purché abbiano un reddito non superiore a 90.000 euro. Novantamila. Boh. Magari - sarò di destra? - ho capito di più l'abbattimento dell'Irap. Ma cos'è oggi la Leopolda, a guerra vinta, se non mera celebrazione e culto della personalità? Non andrò a Roma a manifestare con la CGIL. Non ho più la tessera della CGIl. Da pensionato non l'ho voluta. Ma non è questo il punto. La CGIl combatte una battaglia sul terreno scelto dal segretario premier. Quella sull'art. 18. Per qualche dettaglio magari di rilievo che è comunque un dettaglio. Mentre troppi non hanno il problema del reintegro o risarcimento ma quello terrificante di poter vivere una vita intera senza un lavoro o un lavoro vero. E senza neanche il brodino degli 80 euro. Non vado né a Firenze né a Roma quindi. Anche se non voglio apparire equidistante. Sono un tantino più vicino a Roma. Ma in realtà sono altrove, non so se a destra o a sinistra. Forse a sinistra ma anche sopra o .sotto. Giacché le coordinate destra/sinistra servono ma non bastano. E cerco un appuntamento in cui incontrare quelli esclusi dalla Leopolda e da Roma.

sabato 4 ottobre 2014

Cronache dall'orrore del XXI secolo


Un abbraccio ideale al padre di Alan Henning, ultima vittima dei rincoglioniti assassini dello Stato Islamico (?), che chiedeva pietà con la gola lacerata dalla malattia. Solo i nazisti nella storia dell'umanità fecero cose egualmente schifose. E pietà solidale ai genitori della prossima vittima annunciata, Peter Kassig. Debbono dichiarare che il figlio si è convertito all'Islam. Orribile come le dichiarazioni "spontanee" dei poveretti prima dell'esecuzione. Come le lettere di Moro prigioniero dei rivoluzionari da strapazzo delle Br. Alle belve ammalate il mio assoluto disprezzo.

martedì 30 settembre 2014

Cosa divide chi. Verso un Partito della Nazione dell'80%?


A Piazza Pulita ieri l'ultima conferma. La conferma della fondatezza del mio quesito. Che posso variamente formulare. Qual è oggi la maggioranza che sostiene il governo? Sbaglio se dico che comprende l'80% del PD e abbastanza meno (per ora) del suo gruppo parlamentare + (in ordine di peso) Forza Italia + NCD e dintorni? E l'opposizione qual è? La minoranza PD + Lega + M5S? Piazza Pulita evidenziava la forte coincidenza di voto dei parlamentari dei presunti opposti schieramenti (Boschi e Santanché, ad esempio che esprimono lo stesso voto in più dell'80% dei casi). Poi c'era la verifica empirica in studio. Sallusti ad esempio sempre più quieto e ieri più quieto che mai, sostanzialmente difensore di Renzi rispetto agli assalti dei suoi nemici interni. Oppure potrei chiedere: su cosa gli ex nemici sono oggi divisi? Non sulle riforme istituzionali su cui nacque il Patto. Ma neanche sul Jobs Act ad esempio. Brunetta anzi chiede a Renzi di tenere la linea, rifiutando mediazioni con la sua minoranza. Molto, molto accorciate le distanze sulla giustizia. E sui diritti civili dopo la svolta filogay impressa dalla compagna dell'ex cavaliere. E neanche sembra più esistere e dividere il bunga bunga che secondo Scalfari, snob e malizioso, sarebbe la differenza fra Renzi e Berlusconi. Su cosa allora sono divisi PD e Forza Italia? E in genere cosa divide chi? Per la verità, se dovessi far riferimento ai toni, l'opposizione più dura è quella della minoranza PD. Di fatto una opposizione più sullo stile del segretario-premier (e sulla forma partito) che sui contenuti programmatici. E allora, finisco col chiedermi: “Perché mai non andare verso un Partito unico (Partito della Nazione va bene?), a guida Renzi ovviamente?”. Mi sembrerebbe un'operazione di chiarezza e di accostamento della forma alla realtà. Un partito dell'80%. All'opposizione la Lega, quel che resterà di M5S e i quattro gatti dell'ex minoranza PD. Questi ultimi oppositivi “estetici” giacché poco altro che l'estetica li divide dal segretario. La Lega e M5S con un pizzico di populismo in più riguardo Europa e immigrati. N.B. Spero di non apparire sarcastico. Inquieto, sì. Il mio disagio è crescente. Con chi starei? Credo da solo, cercando di interpretare il malessere crescente dei miei concittadini che voteranno compatti per il Partito della nazione e che lo faranno credendo che non esista comunque la possibilità che la politica possa far altro che offrire “narrazioni”. Mi piace

domenica 28 settembre 2014

Italy in a day.Come la corazzata Potemkin?


Beh, scherzo. Per fare appello alla libertà di espressione, di amare e non amare, rivendicata dal ragioniere Fantozzi nel grido liberatorio: "La corazzata Potemkin è una cagata pazzesca". Nulla di simile di fatto per l'opera di Salvatores, e ancor meno per quella di Ėjzenštejn vorrei dire; però difendo il principio. Col supporto decisivo di Rai Cinema, Gabriele Salvatores ha operato il tentativo ambizioso di fotografare l'Italia in un giorno qualunque: il 26 ottobre del 2013. Di spiegare l'Italia. Di esibirne l'ipotetico tessuto connettivo. Per fare questo e pensando di fare opera di realismo, ha invitato gli italiani a mandare i loro filmati più o meno dilettanteschi e maldestri, ma “reali” cioè con gente reale che nasce, lavora, gioca, vive e muore. Da più di 40.000 filmati ricevuti ha ricavato il suo film. Con un'opera di selezione che ha impegnato una forte squadra. E con un montaggio che è il film, insieme alla selezione. Voglio dire che ovviamente dagli stessi 40.000 filmati 10 autori diversi avrebbero realizzato 10 film diversi e raccontato 10 Italie diverse. Sarebbe stata un'Italia meno vera quella ipoteticamente inventata con sceneggiatura preesistente e attori professionisti? Non credo. Credo il contrario. Pur senza attori ma con libertà assoluta di scelta, ad esempio, l'autore assai meno celebre di Sacro Gra, Gianfranco Rosi, ha realizzato un'opera assai più emozionante e convincente sulla vita del Grande raccordo anulare romano e sulle tristezze delle vite di chi vi vive attorno. Fino a sentire e farci sentire la cupa routine dei necrofori filmati mentre al cimitero di Prima Porta operano riesumazioni. Assolutamente coerente con la malinconia e la dolcezza dell'operatore del pronto soccorso che assiste la madre affetta da Alzheimer. Di Italy in a day mi restano frammenti, note sparse, senza melodia che vi dia senso. L'emozione intensissima del padre che assiste alla nascita del figlio. Lo stupore disperato del pensionato che lamenta: "Dirigevo un'azienda. Ora non sono nulla. Anche se so di poter essere utile". Oppure lo sguardo dell'imprenditore sul suo parco mezzi inutilizzato perché la mafia non gli consente di lavorare. O il regredire senile, anche qui, come nel Sacro Gra (quasi un calco), nel rapporto con il figlio a stento riconosciuto. Insomma, Salvatores ha selezionato non so con quale sguardo ed io ri-seleziono col mio sguardo, istintivamente attento al declino. P.S. Titolo inglese, come ogni cosa che voglia apparire importante oggi in Italia. Vedi Jobs Act. O forse ironia? Se ironico, non si comprende.

lunedì 15 settembre 2014

Il mondo inesistente attorno a noi


Una nota leggera ogni tanto. Piccoli eventi che mi fanno capire che spesso siamo del tutto dimentichi che il mondo non ci appartiene. E' dimentica di questo la passeggera più o meno cinquantenne che stamani è seduta di fronte a me sul trenino Ostia-Roma. Avvia al cellulare con un'amica più giovane, forse una nipote, una conversazione o meglio un urlato monologo prodigo di saperi e consigli. Sono così costretto ad apprendere l'intera storia della povera interlocutrice lontana. Problemi familiari e lavorativi e di casa in affitto e di extra dovuti o non dovuti. E lui, il compagno separato della interlocutrice, che non ci sta a questo e non ci sta a quello. Avrei bisogno di chiamare l'amico che mi aspetta alla stazione. Ma temo che non riuscirei a sentire nulla e rinuncio. Invece quietamente un giovane in piedi accanto a me riesce a condurre la sua conversazione con auricolare e microfonino. E non capisco neanche se parli con la sua ragazza o un collega di lavoro. Un eroe stoico o un campione dalle prodigiose risorse uditive. Il monologo urlato non è ancora concluso quando lascio il trenino alla Magliana e riacquisto il piacere del silenzio.

mercoledì 10 settembre 2014

Renzi a Porta a Porta


Commento solo alcuni spunti offerti ieri dalla trasmissione. Una è l'ondivaga filosofia del bonus. In questi mesi il bonus è stato spiegato alternativamente almeno in due modi. A volte come strumento di politica economica. Si immetteva una liquidità di 10 miliardi annui per stimolare consumi e domanda. Per ottenere l'effetto non si sceglieva di far cadere dal cielo banconote nelle città o introdurre gratuiti gratta e vinci. Non ci si affidava cioè alla casualità dei “funzionari della domanda”, cittadini indotti al consumo dalla insperata regalia e da ringraziare come nel vecchio spot berlusconiano di pubblicità progresso in cui si diceva “grazie” al patriottico consumatore. Si sceglieva invece di favorire i non ricchi ma neanche troppo poveri: quelli che comunque hanno uno (o due, se sposati) stipendi. Perché quelli avrebbero facilmente consumato pizze o comprato scarpe nuove ai figli. Infatti si escludevano i poveri veri: pensionati (poveri e no, per la verità), partite iva, inoccupati e incapienti . Perché loro non si sarebbero prestati al sacrificio di consumare per la patria. Si diceva che la povertà avrebbe loro suggerito di mettere gli 80 euro sotto il mattone, in attesa del peggio. Altre volte però si diceva che la filosofia del bonus era quella della giustizia sociale: restituire a chi ha dato troppo o avuto troppo poco. A me è sempre parso che i due obiettivi fossero abbastanza divergenti. Non sarebbe stato così se si fosse deciso semplicemente di elargire 80 euro ai più poveri. Dal primo bonus di maggio si aspetta il benefico effetto del bonus. Gli oppositori di Renzi umanamente (si fa per dire...) sperando che ci fosse effetto benefico alcuno. Perché – sapete? - la nostra è una democrazia saldamente fondata sul “tanto peggio, tanto meglio”. Invece capivo benissimo anche io (che poco so di economia) che gli effetti sarebbero stati visibili a distanza di mesi. Quindi giudicavo severamente i “gufi” e la loro esultanza per il mancato effetto a giugno e poi a luglio e poi anche ad agosto. Anzi avrei voluto suggerire a Renzi di spiegare non solo che gli effetti sarebbero stati tardivi. Ma che forse sarebbero stati invisibili. Come fare ad escludere, ad esempio, che l'effetto benefico degli 80 euro sulla domanda fosse negativamente compensato da altri fattori deprimenti? Bisognava cioè dire che gli 80 euro stavano svolgendo il loro compito frenando un tantino la corsa verso il calo precipitoso dei consumi. Ieri, a Porta a Porta, Renzi non ha detto proprio questo. Anzi, quasi avesse ascoltato le mie critiche (scherzo, ovviamente) alla funzione meramente di politica economica del bonus, ha recuperato la funzione sociale (di giustizia distributiva) del provvedimento. Ha pure ironizzato quasi con le mie parole (scherzo, scherzo) sulla pretesa di imporre ai percettori del bonus di consumare patriotticamente. Purtroppo lasciando così senza risposta la domanda: “Perché non ai più poveri?” A loro dopo, se possibile, ha detto. Così non capisco ancora perché non a loro prima e agli stipendiati dopo. Altra cosa che mi ha colpito nell'incontro a Porta a Porta è la questione incremento del Pil grazie alla rilevazione dell'economia criminale nelle statistiche nazionali, come voluto o permesso dall'Europa. Prima la domanda di Vespa. Poi il nuovo entrato Sallusti dà per scontato che il nuovo sistema di rilevazione ci giovi notevolmente. Senza cattiveria dico che Renzi e Sallusti fanno la figura di scolaretti. Renzi infatti nega i salvifici effetti. E sinceramente (ingenuamente) ammette che si è fatta spiegare la cosa tre volte da Padoan. Ogni tanto (o sempre) i professori servono a qualcosa. E Sallusti incassa, compìto, come mai l'ho visto fare. Insomma, mi dichiaro soddisfatto di essere ignorante come il famoso giornalista e come il premier. Per la verità Renzi (Padoan?) dice che un effetto positivo sui conti c'è ma che è trascurabilissimo. Questa non la capisco proprio. Ma pazienza. Capisco solo un tantino di più Tito Boeri che oggi su Repubblica stronca il nuovo calcolo con l'articolo dal titolo chiarissimo “Perché non siamo diventati più ricchi”. Spero ardentemente che abbia ragione Boeri. Perché sennò, come lui stesso afferma, un'attività repressiva sull'attività criminale (droga, contrabbando, prostituzione) avrebbe un effetto depressivo sulla nostra economia. Resto confuso. E se lo avesse? O si può dire che avrebbe un effetto positivo sul Pil ma non sull'economia?

sabato 6 settembre 2014

Quando si rivela l'ingiustizia


Con il mio compagno di banco di liceo di più di 50 anni fa, generale in pensione, ci si incontra ad Ostia quasi sempre per andare al cinema. Talvolta, come stamani, per una granita di mandorla con brioche nel locale siciliano che frequentiamo. Lui è sempre stato a destra. Infatti per evitare di mettere a rischio l'amicizia, per decenni abbiamo evitato l'argomento. Al più un tocco e fuga. Da qualche tempo qualcosa sta cambiando. Prima mi ha comunicato che non avrebbe più votato Berlusconi. Deluso per i suoi fallimenti e per il suo stile di vita. Poi mi dice che potrebbe anche votare Renzi. E credo lo abbia votato o cioè abbia votato il PD "renziano". Quindi nei momenti in cui si sfiora, pur con meno ansia di una volta, la tematica politica lui appare -diciamo- quasi più piddino di me. Grave. Oggi con granita davanti mi racconta della sua vacanza a Sofia. Tutto bene, tranne...Tranne la povertà di troppi anziani e anziane che edificano, nel centro della città, case di cartone in cui trascorrere la notte. O che entrano nei Mac Donald a raccogliere gli avanzi prima che i consumatori spreconi depositino i vassoi nella sede dei vassoi utilizzati. Il mio amico ex berlusconiano mi ha comunicato la sua emozione. Poi ha detto una cosa incredibile. Qualcosa come: "Ci vorrebbe una forma di comunismo, una specie di comunismo". Aggiungendo, quasi pentito: "Dico per dire". Ed io: "Ci potrà essere. L'importante è trovargli un nuovo nome". Un po' scherzando, un po' no. Poi torniamo a commentare la granita di mandorla. Buona come quella di Avola? Forse sì o quasi. P.S. Ho avuto voglia di raccontare queste cose da Diario forse per sfuggire all'attualità politica normalmente intesa. Non ho la forza di avventurarmi in una discussione sul blocco della contrattazione pubblica o sullo sciopero "bianco" minacciato dalle forze dell'ordine e su parole come "ricatto" per me prive di senso, come "coraggio" ad esempio. E sto pensando agli invasati assassini dell'IS che chiedono ad Obama di fare scendere i suoi uomini a terra combattendo a viso aperto. Così si diceva da ragazzi: "Scendi, se hai coraggio". Così si dice in taluni western. Sciocchezze mischiate all'abominio.

mercoledì 3 settembre 2014

Parlare di scimmie invece che di Palestina


Non è pensabile nell'epoca che viviamo spiegare ai Paesi e alle bande in conflitto le ragioni dell'altro. Non è stato mai facile ed oggi è quasi impossibile. Come se le menti si fossero indurite perdendo quella porosità che in tempi migliori lascia filtrare pensieri diversi dai nostri. Quindi il cinema militante, magari commerciale (non quello dei cineforum), ma militante comunque, ci prova parlando d'altro. Così nella fantascienza o fantasociologia. Meglio parlare di scimmie se si vuole che gli uomini ascoltino, pensa evidentemente Matt Reeves autore di Apes revolution: il pianeta delle scimmie. Sembra esserci riuscito, a giudicare dalle presenze nelle sale. A conferma del potenziale impatto pedagogico della cinematografia “democratica”. Impatto maggiore delle denunzie esplicite, dei bei sermoni e forse anche delle meritevoli “partite per la pace”. Resta il dubbio di cosa si faccia strada nelle menti nel buio e nella solitudine della sala. Nella premessa del film ancora un ammonimento sul rischio del dominio prometeico sulla natura. Stavolta in laboratorio sono state contaminate scimmie per sperimentare un vaccino. Il risultato è che le scimmie evolvono e l'uomo, contaminato dalle scimmie ovvero da se stesso, per via scimmia, muore. Divertente e illuminante il paradosso dialettico esposto da uno dei protagonisti per motivare la sua scimmiafobia: “Loro (le scimmie) ci hanno contaminato”. Beh, è normale nell'attribuzione delle responsabilità fermarsi all'anello della catena dove ci serve fermarci. E' diverso fra Israele e Hamas? Fra Ucraina e “ribelli russofoni”? Resta dunque una colonia umana di indenni al virus fra le rovine di San Francisco. Che nulla sa di una vicina colonia di scimmie governata dal saggio Cesare. Le scimmie, con qualche buona ragione, considerano gli uomini responsabili del disastro né hanno perso memoria della storia di schiavitù antecedente. Poi c'è l'incontro. Perché gli umani vogliono recuperare l'energia di una diga per riconquistare luce ed energia. E qui si apre la doppia dialettica. Fra scimmie e umani. Ma anche fra moderati delle due comunità ed estremisti, scimmie ed uomini. In effetti non appare motivo alcuno di conflitto. Se ci si fermasse alle cose. Le due comunità potrebbero convivere in pace. Sì, come palestinesi ed israeliani. Come Tutu e Tutsi. Etc, etc. Inevitabilmente la moderazione e il dialogo esercitati dai leader delle due comunità apre spazi ai guerrafondai. A chi non dimentica. A chi guarda al passato e non sa immaginare il futuro. A chi è interessato a provocare. A chi è interessato a rispondere alla provocazione. Il pacifista Cesare, come Rabin, è colpito dal suo antagonista. In questo caso per attribuirne la colpa agli umani. A differenza di Rabin, Cesare non è però colpito a morte. Si aprono momenti di speranza e battaglia fra pacifisti che vogliono convivere, scimmie e umani, contro guerrafondai, uomini e scimmie. Ma poi, provocazione dopo provocazione, la logica del peggio prevale e torna la logica comunitaria e razziale. Il moderato Cesare dovrà accettare di guidare le sue scimmie nel conflitto ormai inevitabile. Lo dico grossolanamente e fuori dai denti. Non credo che l'autore di Apes revolution abbia voluto parlare a Netanyau e ad Hamas. Opera del tutto inutile. Come parlare a Koba, la scimmia bellicista o agli uomini che nel film non vedono l'ora di menare le mani. Non si parla di pace a quelli che sono protagonisti grazie alla guerra. Credo che l'autore abbia voluto incoraggiare Abu Mazem insieme agli israeliani che si battano per i diritti dei palestinesi. Quelli che tentano di costruire. Credo che, parlando di conflitto fra scimmie e umani, abbia voluto aggirare le resistenze dei moltissimi che nel mondo assumono posizioni pre-giudiziali . Quelli che nelle risse dei socialnetwork stanno con il governo della Ucraina o con Putin. A prescindere. E che avvertono odore di bruciato, di falso o di congiura davanti a qualsiasi informazione che sembri contraddirli. La scommessa è che interiorizzino dubbi e punti di vista divergenti senza doversi vergognare di farsi convincere. Cosa da “femminucce” farsi convincere nell'epoca triste che viviamo.

giovedì 21 agosto 2014

Quelli che fingono di credere


Non vorrei dire cose inutili sull'assassinio di James Foley. Barbaro. Disgustoso. Difficilmente comparabile per efferatezza con ogni altro assassinio. Esprimo solo il mio abbraccio ideale agli splendidi genitori di James. Basta. Aggiungo solo quello che è stato poco detto sull'identità degli assassini. Dicono che circa cinquemila sarebbero occidentali, compreso l'assassino di James, col suo splendido accento londinese. Giovani convertiti all'Islam e alla “fede” in un Dio sanguinario. Convertiti? Credenti? Io non penso che credano davvero. Come non penso che credessero davvero i “nostri” terroristi (Brigate rosse e nere) né alla rivoluzione proletaria né alla rivoluzione nazionale. Non penso credessero né a quegli obiettivi né alla utilità di quelle modalità per perseguirli. Fingevano di crederci come fingono questi nuovi sciagurati. Mi consento un accostamento audace ma per me evidente: come fingono di credere gli ultras che invocano il Vesuvio per seppellire i napoletani o cose simili. Penso a un vuoto terrificante. Il non sapere per cosa si è al mondo. E la fatica insostenibile di progettare percorsi di senso. Quindi credo a due terapie complementari contro il nichilismo nella sua versione fanatica, nella sottospecie incolta degli ultras e in quella “colta” dei terroristi vecchi e nuovi. Una è la difficile repressione e lo sradicamento di questi hic et nunc con ogni mezzo. L'altra è la non meno difficile rivoluzione delle anime e del senso comune occidentale. Occorrono “semplicemente” progetti nazionali, europei e mondiali capaci di proporre orizzonti di senso della vita. Chi può formularli? I “laici” sono troppo pragmatici. Si occupano di cose che si toccano, cioè di banalità: spread, Bce, ottanta euro in più a questi e ottanta euro in meno a chi ha già meno. Forse papa Francesco (non avrei mai pensato di dirlo) può fare di più. Se sceglie, come ha iniziato a fare, i suoi partner in una alleanza delle religioni “umane” e implicitamente laiche. Poi i laici, forse, impareranno a camminare sulle loro gambe. Contro le fedi nazionali, tribali e delle religioni che credono in un Dio folle.

mercoledì 20 agosto 2014

Obiettività, par condicio e varie confusioni


Ho assistito a un incontro con Attilio Bolzoni, giornalista di Repubblica esperto di mafia nel contesto di una struttura balneare espropriata alla criminalità ostiense. Ho assistito passivamente all'iniziativa promossa da Libera. Altro caso, ennesimo, di difficoltà a dissentire. Non ho avuto voglia o coraggio di dissentire fra un pubblico allineato alle tesi dell'oratore. Non rinuncio però a fare ora il punto sul mio dissenso che va oltre l'occasione. Riguardo gli argomenti del relatore consento solo su questo. La denuncia di una stampa per troppo tempo reticente e pavida. Come la magistratura, come gran parte della politica. Nient'altro. “Non sono comunista quindi posso elogiare un comunista” dice praticamente Bolzoni. Il conferenziere, elogia caldamente Pio La Torre, cofirmatario della “Rognoni La Torre” che istituiva il reato di “associazione mafiosa”, segretario regionale del PCI, assassinato nell'82 dalla mafia. “Aveva visto più lontano di tutti”. Probabilissimo. Prima di pronunciare l'elogio, Bolzoni sente però il bisogno di chiarire: “Io non sono mai stato mai comunista. Mai.” Scandisce forte. E' questo che mi irrita profondamente. Se il giornalista avesse militato, brevemente o a lungo, nel PCI, l'elogio del comunista La Torre apparirebbe sospetto? Bolzoni non sarebbe credibile? Così la pensa Mentana che si vanta di non votare. E infatti nel suo Tg è sempre preoccupato di accompagnare un'antitesi a una tesi. Ovviamente e inevitabilmente, una più debole e di mera forma. “Par condicio” chiama tale ipocrisia. Io penso invece che un giornalista o un magistrato di sinistra debba e possa denunciare o condannare qualcosa che sta a sinistra senza problema alcuno. Quasi a corollario per Bolzoni giornalisti e magistrati non dovrebbero entrare in politica. L'oratore ha facile consenso. Cita Ingroia e Grasso, apprezzati nel loro lavoro e assai meno in politica. Soprattutto il primo. Credo però che così vinca l'ideologia della terzietà a sproposito. Se si possiede un'idea politica non si potrebbe essere neutrali o non si può apparire tali. E anche a posteriori la militanza lascerebbe un'ombra pesante di dubbio sull'obiettività esercitata nella professione. Se invece non si milita e si tengono riservate le proprie opinioni è diverso? Ma questa mafia cos'è mai? Non è quella con la coppola. Non è Riina per Bolzoni. E' Cuffaro. E' il ministro dell'Interno. E' l'economia criminale. A questo punto la mafia occupa tutta la scena: criminalità tout court, affarismo e mafia diventano sinonimi mentre Riina è robetta da niente, utilizzato dalla mafia “vera”. E il vertice della mafia? Naturalmente coincide col vertice dello Stato. Fa segno “su, su” Bolzoni, mentre elogia Di Matteo e contesta i suoi nemici. Ma i nemici sono i mafiosi o chi avrebbe trattato con loro o chi oggi coprirebbe quella trattativa? Se tutto è mafia, la mafia trattava con se stessa e oggi copre se stessa? Ma è chiaro cosa significhi l'alludere, senza dire e senza definire. Definire un fenomeno non è un esercizio di scuola. Definisce chi vuole discutere nella chiarezza. Non definire è comodo. Tutto si confonde. Si diffondono veleni mentre nella vaghezza si sfugge a responsabilità e contestazioni.

lunedì 18 agosto 2014

Di Battista: capire o giustificare


Di Battista: capire o giustificare Premetto che credo di essere una persona “normale”. Anche in politica. Mai votato per le estreme estreme. Mai pensato di votare per M5S. Mai simpatizzato per la violenza e tanto meno per il terrorismo. Punto. Dopo le ultime dichiarazioni di Alessandro Di Battista, brillante esponente di M5S, ho deciso di contare fino a 10 prima di commentare. Perché il mio commento non sarebbe stato per nulla in armonia col coro unanime che si leva nel Paese. Tutti, dalla destra alla sinistra, sulla stampa e sul web contro il “povero” Battista. A che servirebbe – mi dicevo – esprimere un diverso parere? E se poi io fossi vittima di un colpo di sole o di un segno precoce di invecchiamento? Beh, ho contato ancora. Fino a 100 e fino a 1000. E commento. Gli amici mi facciano sapere se ho perso la testa. Di Battista ha detto qualcosa di ovvio e qualcosina di ingenuo. “Se un drone mi bombarda ed io non ho mezzi adeguati per replicare – si chiede Di Battista – io cosa faccio? Mi carico di tritolo e mi faccio esplodere in un autobus”. Ha detto cioè che il terrorismo e il suicidio-omicidio dei kamikaze è l'arma di chi non ha armi. Di chi non ha sofisticati strumenti di puntamento né atomiche. Condivido fin qui. Purché non si esaltino le ragioni dell'Isis, del Califfato, degli stupratori, dei massacratori, degli infibulatori, io condivido. Giacché- se proprio si deve scegliere con quale assassino stare – governo o banda che sia – io scelgo Israele. Scelgo Israele perché uccide nei modi che la cultura occidentale di cui sono imbevuto considera più civili. E perché bombarda scuole e ospedali per colpire un “terrorista”, ma lo fa per proteggere valori che sono i miei (eguaglianza dei generi, libertà sessuale, etc.), non la subalternità femminile, l'infibulazione o simili porcherie. Ma Di Battista ha esaltato le modalità assassine dei fondamentalisti? Ha esaltato il loro progetto di società? Leggo e rileggo e non trovo nulla di simile. Ha detto semplicemente di “capire” le ragioni del terrorismo. Non di giustificarle. Povertà, oppressione coloniale, etc. lo hanno prodotto. Non è vero? Per essere fermi contro il terrorismo dobbiamo dire che non lo comprendiamo? Pare di sì. Dobbiamo dire che siamo stupidi e non comprendiamo. Di Battista ha anche aggiunto peraltro che sarebbe preferibile una lotta non violenta. Anzi – ho controllato – il 10 agosto , anticipando il tema, aveva postato l'immagine di Gandhi, in un post intitolato “Solo la nonviolenza ci salverà”. Infine la cosa più ingenua. Trattare coi terroristi. Per la verità continuiamo a discutere di trattativa Stato Br o Stato mafia. Non sarebbe troppo diversa una trattativa con l'Isis o Califfato che sia. Solo che loro non credo siano disponibili a trattativa alcuna. Penso vogliano la resa totale. Ha ragione Di Battista. Noi buoni (traduzione mia) siamo colpevoli. Noi buoni (senza ironia) abbiamo prodotto il male (Bin Laden, Califfato, etc.). Non rimediamo arrendendoci. La frittata è fatta. Il mostro è vivo e vegeto. Dobbiamo estirparlo. Distruggerlo. Quando avremo sparso nuovo sangue come drammaticamente necessario, però rispondiamo seriamente alla domanda sul perché siamo giunti a questo.

venerdì 15 agosto 2014

Fra i rifiuti di ferragosto


Parlo di quelli umani. Sconsigliato a chi non vuole guastarsi il ferragosto. Naturalmente non saprò mai se si tratti di caso oppure di una mia modalità di selezione di ciò che ho attorno. Sospetto si tratti della seconda. Intraprendo con mia moglie la passeggiata di ferragosto. Dopo la raviola di ricotta divisa a metà e il caffè,si decide di andare sul lungomare di ponente della nostra Ostia. Quello che più spesso trascuriamo o saltiamo prendendo l'auto per raggiungere il porto, lì a pochi metri dalla zona di degrado in cui si consumò l'assassinio di Pasolini. Ora la zona antistante il mare è relativamente risanata. Esteticamente. Alle spalle pulsa però la piccola e la grande mala in gran parte -dicono - proprietaria del “risanato” litorale e delle attività commerciali. Dicevo che propendo per l'ipotesi di un mio sguardo selettivo. Infatti mia moglie, passeggiando e scrutando, esercita una diversa selezione, riservando commenti pietosi per gli esercizi deserti di pubblico, che siano boutique, bar o stabilimenti balneari. “Come faranno?Come vivranno?” Etc. Io un po' meno. E la rassicuro come posso: “Forse sono attività fasulle di mero riciclaggio” oppure: “Non saranno né i primi né gli ultimi a fallire”. E così via. Invece guardo con attenzione, anche oggi, quelli che, numerosissimi, frugano fra i rifiuti. Quello che vedo oggi mi sembra molto professionale. Ha trovato una busta piena di indumenti per bambini e seleziona compiaciuto di se stesso quello da prendere e quello da ributtare nel secchio dell'indifferenziata. Più avanti, davanti alla mensa della Caritas, al confine fra centro e inizio del famigerato ponente, un gruppo di immigrati usa l'italiano come lingua veicolare, con l'esperto che spiega agli altri non so quali strategie di fruizione. Pochissimi bagnanti nei lidi privati. Molti nelle spiagge libere. Da una di queste una ragazza fugge via piangendo disperata. Ci fermiamo. Pare abbia perso il suo cane. Mi preparo mentalmente un commento sulla nuova umanità che darebbe la vita per un animale mentre tranquillamente darebbe (e dà) la morte agli uomini. Le trovano il cane. Lei torna indietro e comincia a picchiare un ragazzo, forse il suo ragazzo, che stava davanti a una tenda sulla spiaggia. Sembra invasata. Uno dell'altra epoca (un mio coetaneo) commenta: “E' l'effetto di una notte di alcol”. Intanto lei sradica la tenda e la usa come arma contro il compagno. Penso a qualcosa di più pesante di una sbronza. Ci sono altri ragazzi a contenerla ora. Andiamo avanti. Anzi indietro, tornando verso il centro. Davanti a uno degli stabilimenti balneari più rinomati, c'è una donna anziana con un pacchetto di non so cosa. Vedo bottiglie vuote e scatole vuote. Però vedo che ha il viso imbrattato di... Sembra... Faccio fatica a crederci ma dalla bocca agli occhi la donna si sparge qualcosa che sembra...Davanti allo stabilimento in cui stanno quelli che possono spendere 50 o 100 euro a ferragosto. Poi alza la gonna. E succede quello che mi aspetto. Orina in piedi. Accorrono inservienti del lido. Sul viso c'era evidentemente quello che pensavo. Torniamo a casa. Pasta con gamberi e zucchine e calamari al forno. Andiamo avanti. Ci furono epoche in cui gli scarti umani si chiudevano in lager chiamati manicomi. Ci furono epoche in cui gli scarti erano soppressi. Oggi sono in mezzo a noi. “Liberi” perché la nostra è l'epoca della libertà. Di cementificare ed inquinare perché altro modo non c'è di dare occupazione. Di licenziare perché questa attività è mia e tu mi devi essere grato finché ti pago. Di drogarsi, con qualche sanzione e qualche inutile predicozzo. Di aprire sale scommesse, finanziare politici compiacenti o farsi spennare alla slot machine. Ci sarà una volta un'epoca in cui ci prenderemo cura l'uno dell'altro? Non episodicamente. Non se si trovano generosi volontari. Ci sarà un'epoca in cui sia chiamato “sviluppo” prendersi cura l'uno dell'altro, nessuno escluso? Temo di no. La battaglia è perduta. Anche per l'imperizia, la fretta o il tradimento di alcuni che militavano nelle bandiere della speranza. Si dirà sempre che non si può perché limiteremmo la libertà umana. Gli agenti del mondo esistente ci spiegano continuamente, ora pazientemente, ora nervosamente, su facebook, che sarebbe “totalitaria” una società “piatta” in cui a nessuno venga in mente di ignorare il calcolo delle probabilità giocandosi nelle slot machine salario, paghetta di genitori e nonni o proventi da rapina; in cui a nessuno venga in mente di imbrattarsi il viso con le proprie feci. La battaglia è perduta. Buon ferragosto.

giovedì 14 agosto 2014

Lo sguardo paterno


Tra le diverse occasioni di animazione ad Ostia l'altra sera ho scelto la rassegna filmica “L'etica libera la bellezza” . Si propone Biutiful cauntri , sul disastro colpevole nella terra dei fuochi. Ne avevo visto solo una parte a suo tempo e non mi va bene neanche stavolta. Riesco a vedere l'incredibile visita di Bertolaso nella terra dei veleni, con la gente che gli chiede conto. Lui che usa un volgare diversivo protestando perché lo chiamano “onorevole”. Come – ricordate? – quel prefetto che fa la scenata tempo fa al prete anticamorra perché ha chiamato “signora” invece che “eccellenza” un prefetto donna. Esempi da manuale di una classe dirigente irresponsabile. Ma – dicevo – vedo poc'altro e sono costretto a fuggire dopo una mezz'ora per aggressione da zanzare. Nessuno normalmente ti chiede nulla se lasci un cinema o un locale. Tanto hai pagato il biglietto. Stavolta è diverso. Gli spettatori non sono tantissimi. Cabaret e canzonette sul lungomare prevalgono. Mi si avvicinano una ragazza e un ragazzo poco più che ventenni. Tentano di capire. “Poi c'è un altro film” mi dicono. Spiego il problema zanzare. “Domani metteremo la citronella” mi rassicurano. Anch'io rassicuro loro: “Tornerò”. Sono dispiaciuto più di loro. Per averli delusi, più che per il film perduto. Loro sono parte di Cinemovel Foundation, convenzionata col Comune per l'estate romana e aderente a Libera. Che io vada o resti non è indifferente per loro, per la loro passione di cinefili e per il loro impegno di militanti, ai nostri giorni frequentemente deriso. Adesso mi è chiaro che sto esercitando il mio sguardo paterno. Quel mix di sentimento di apprensione e di “tifo” con cui talvolta guardiamo al faticoso farsi largo dei giovani oggi. A volte è come se volessimo soffiare su vele incerte che non prendono il largo. E mi sembra proprio uno sguardo paterno questo, non solo genitoriale. Madri e sorelle custodiscono e proteggono corpi vivi o morti e memoria, fin da Antigone. Come la sorella di Cucchi, la madre di Aldrovandi, etc. Noi padri – quando (più spesso) non siamo assenti – proviamo a soffiare su quelle deboli vele. Pur temendo il naufragio. Mi viene in mente il confronto fra le mie emozioni e quelle di mia moglie quando mia figlia lavorava alla sua tesi. Riguardava i writer (graffitari). Lei girava a tarda sera cercando il contatto con gli anonimi “artisti” di strada. Pur condividendo sentimenti, in mia moglie prevaleva l'apprensione; in me quel soffiare sulle vele. Con la difficile ricerca di sintesi: “Fallo, se serve, ma stai attenta e fatti accompagnare, magari a distanza”. Ci sto pensando ascoltando l'intervista al padre di Simone Camilli, ucciso a Gaza. Un padre fiero e senza lacrime. Ci penso leggendo l'intervista al padre di Vanessa Marzullo, una delle due volontarie rapite in Siria. Contro il cinismo volgare di chi fa calcoli su quanto costerà il riscatto eventuale per le rapite. Insomma, stasera forse mi armerò contro le zanzare e vedrò Generale su Alberto Dalla Chiesa o riproverò con Fortapàsc a ferragosto. Apritevi, vele.

domenica 10 agosto 2014

Distinguere: per la giustizia e contro il razzismo


Nella capitale d'Italia dove il mostriciattolo - il razzismo e la sua variante antisemita - è vivo e vegeto, pur con brevi periodi di astinenza, dopo le scritta idiote ora i muri ospitano deliranti liste di proscrizione. Commercianti e operatori economici che si consiglia di non frequentare perché - udite, udite! - essi si tasserebbero per sostenere Israele e, implicitamente, la sua politica aggressiva verso la gente di Gaza. Bisogna dirlo chiaro: le scritta sono opera di sciagurati, fascisti, ignoranti (sinonimi). Con altrettanta nettezza si deve invitare la sinistra democratica a chiarire agli incolti in buona fede che una cosa è Israele, altra cosa è il popolo ebraico. Chiarire che gli ebrei esposti (nell'intenzione degli imbecilli) alla gogna e alla proscrizione sono cittadini italiani, non di Israele. Chiarire ancora che i cittadini ebrei di Israele, come quelli italiani, hanno il diritto di vivere in pace. Come l'oppressa e tormentata popolazione di Gaza. Ma nelle scuole d'Italia si è promossi, pur facendo confusione fra governo e popolo, etnia, religione, cittadinanza? Temo di sì. Non va bene. P.S. Attribuisco ai governi israeliani e ai loro amici, protettori a sproposito, le massime responsabilità della crisi. Nondimeno, l'ospedale che frequento di più è quello israelitico (vi farò anche il prossimo intervento di ernia). E, per essere chiari fino in fondo, se fossi costretto a scegliere, sceglierei di vivere in Israele piuttosto che in qualsiasi altro Paese del medio oriente. Vivrei in Israele e protesterei a fianco dei suoi pacifisti contro il massacro di civili e contro una politica senza sbocchi.

venerdì 8 agosto 2014

Due che non hanno vacanza


Della mia vacanza leccese ricordo due persone senza vacanze. La prima che riesce a paralizzare il traffico pedonale nel centro del centro, in piazza S. Oronzo. Vedo cordoni che chiudono l'accesso al tratto che conduce alla sede della Banca d'Italia e carabinieri, tanti carabinieri. Vado a consumare il rituale gelato e scorgo un furgone nero che arriva. E' un carro funebre che si ferma davanti alla Banca d'Italia. L'indomani saprò. Una inserviente quarantenne si è lanciata dalla tromba delle scale. E' finita. Adesso non sa più nulla di riforma del Senato o di Jobs Act e neanche delle ragioni di Israele e dei palestinesi. Si è disimpegnata per sempre dai nostri appassionanti confronti. Episodio due. L'indomani, nel parco giochi poco distante, con le nipotine, mia moglie ed io su una panca. Si avvicina una donna. Sobria, pulita, con un pacchetto in mano. La solita mendicità occulta, si capisce. Di chi vuole fingere di dare qualcosa in cambio. Mollette vagamente decorate. Ma la cosa che mi fa star male, mentre mia moglie estrae il borsellino, è quella terribile rassicurazione: "Non mi avvicino". Infatti si tiene a distanza. Con le mani aperte protese in avanti. Come se potesse contaminarci. Avrà imparato anche questo. Che chi fa l'elemosina preferisce farla a distanza. Come faceva il mahatma (grande anima) Gandhi, il liberatore dell'India - ho appreso - rifiutando anche le noci offerte dagli intoccabili. "Le darò alle mie capre - si giustificava- e bevendo il latte avrò consumato le vostre noci". Gandhi, Israele, la Palestina, la riforma del Senato, il Jobs Act, i faziosi e i semplificatori. Il mondo è troppo complesso. Qualche volta vorrei scendere o almeno smettere di pensare inutili pensieri.

lunedì 21 luglio 2014

Crocetta alla 7: si può essere bravi (forse) e antipaticissimi (sicuramente)


A in Onda sulla 7 Alessandra Sardoni e Salvo Sottile (un apprendista?) conducono perigliosamente l'ennesimo talk show. Stavolta il peggio è rappresentato da Rosario Crocetta. Peggio addirittura della Crudelia Demon (Santanché) che lo precede. Crocetta mi induce addirittura a tifare per Mario Giordano (chi lo avrebbe detto?) che tenta ripetutamente di esaurire se non un argomento almeno una domanda. Il povero Crocetta deve giustificare, come in uso nella cultura della tarda Seconda Repubblica, la sua retribuzione che, per quanto dimezzata a 10.000 euro rispetto ai suoi predecessori, appare forse troppo alta. Poi deve giustificare la super-retribuzione del segretario generale - 600.000 euro - e giustificare questo e quello con l'autonomia dell'Assemblea Regionale e di non so quale altra entità. Nessuno ovviamente si esercita nel semplice calcolo su quante volte i 120.000 euro di Crocetta siano contenuti nei 600.000 del super-burocrate. Forse si tratta di competenze che non si apprendono nella scuola italiana. Ma comunque, peggio che sempre, non si capisce un bel niente. Il povero Crocetta insorge ad ogni accenno di domanda che potrebbe aiutare a capire responsabilità precise o diffuse. E a stento si riesce a sfiorare il tema della inattualità dei privilegi delle Regioni a Statuto speciale. Tema molto importante, ma meno affascinante dei 10.000 euro del Presidente. Giordano riesce a dire che le rappresentanze di tutte le Regioni italiane a Bruxelles andrebbero abolite, non solo quella della Regione Sicilia (che però ospita 5 funzionari in un complesso acquistato di 700 m2). Crocetta non è in grado neanche di capire che quello di Giordano è quasi un assist. Urla che non è stato lui a comprare quella sede. Va bene. Mi resta la preziosa informazione sui 10.000 euro del Presidente. Cosa di consistente si possa tagliare e come non ci è dato invece di sapere. E - per carità - nulla ci è dato sapere sulle cose che conterebbero ancor più della sede siciliana a Bruxelles. Quale politica, quale direzione di sviluppo per la Sicilia. Il tempo è scaduto: pubblicità.

INCENERIRE IL MARITO PER FARNE UN DIAMANTE


Premetto di non averci mai pensato. Che delle mie ceneri si potesse fare un diamante. Poiché sono un cultore della cremazione, l'intesa con mia moglie è che le mie ceneri siano disperse al vento o in mare. Non custodite in un'urna, cosa che non piace a me che sono alquanto claustrofobico e neanche a mia moglie che è alquanto impressionabile. Ma adesso appare un'alternativa sagacemente proposta dalla Ditta Taffo e dalla brillante (???) agenzia di comunicazione al suo servizio che sta riempendo i muri della Capitale. Come spiega il direttore commerciale di Taffo, probabilmente destinato ai vertici dell'Olimpo del management (altro che Marchionne...), le ceneri del contraente (della materia prima) vengono spedite ad una impresa elvetica specializzata che, in qualche mese (non so perché tanto), trasforma il carbonio delle ceneri appunto in diamante. Non sono un esperto di comunicazione, ma azzardo che l'operazione sia più pubblicitaria che di marketing. Immagino che pochi si avvarranno del servizio anche perché scommetto che sia più conveniente per la signora moglie comprare un diamante in un negozio di preziosi piuttosto che pagare l'esosa fattura di Taffo. A parte il valore affettivo (???) ovviamente. Ne parlo però perché se anche la brillante proposta fosse mera pubblicità di marchio, mi sembra indubitabile che il solo pensarla possibile (e reale per qualche “appassionato/a) rappresenti un bel salto in avanti (???). Mi viene da pensare che l'epoca che stiamo vivendo sarà ricordata come quella che portò a compimento la mercificazione totale e abrogò gli ultimi tabù. L'epoca che soppresse definitivamente sentimenti ed emozioni, con le ragazzine che impararono a far sesso una tantum per una borsetta e le mogli che esorcizzarono la paura della morte riducendo il marito in brillante. P.S. Se apparirò critico in questa noticina, sarà segno che non ho comunicato il mio reale pensiero. In realtà guardo con sostanziale indifferenza all'epilogo coerente della filosofia pragmatica e materialistica che ci attraversa.

CINQUE GIORNI A BERLINO


Cinque giorni a Berlino. Senza web per concentrarmi appieno lì. Cosa mi rimane ? 1. La stranezza assoluta di un normale albergo 3 stelle, spartano e pulito, in cui nessuno alla reception ti fa un cenno di saluto, se entri, se esci, se vai in sala per la colazione. Del resto forse anche per questo non c'è la chiave, ma solo il codice per aprire la stanza: evitare perdita di tempo con inutili saluti. 2. La sobrietà incredibile al ristorante durante la finale del campionato del mondo. Tutti con gli occhi incollati ai televisori, comprese le coppie sedute uno di fronte all'altra a guardare a televisori opposti, ma neanche un urletto, solo un isolato applauso al fischio che segna la vittoria. In compenso grande festa giovanile, tutti coi colori nazionali, ma senza esagerare. Con la polizia che consente benevolmente qualche blocco ai semafori. Martedì impossibile accedere per i festeggiamenti alla porta di Brandeburgo e neanche alle postazioni di grandi schermi TV. Moltissimi bambini e al solito moltissime bottiglie di birra. 3. Alexander Platz luogo di ritrovo giovanile, con concertini pop di buona fattura, tutti seduti sui marciapiedi o sull'asfalto. Tranne due ragazze. Siedono protette da fazzoletti bianchi per non sporcarsi. Sono asiatiche. Cinesi? Giapponesi? Qualcosa significa. Da lì verranno ad insegnare costumi igienici all'occidente in crisi? 4. Urbanistica a misura d'uomo e ricca di inventiva, soprattutto a Potsdamer Platz, con l'avveniristica cupola di Sony e ariosa malgrado i grattacieli delle archistar in gara di creatività. Scarso traffico privato. Mezzi pubblici efficienti dove si trova addirittura posto a sedere. Molte, moltissime biciclette. Nessuno vu cumpra. Stranieri integrati - credo - in lavori veri. Molti ubriachi, strafatti di birra e qualche bottiglia rotta. E un po' troppe ragazze con cellulite alle gambe che attribuisco alla birra: disagi dell'abbondanza. Qualche barbone, meno che a Roma. Nella periferia occidentale trovo infine anche accattoni. Somiglianze più che differenze con la mia Roma. Differenze di quantità più che di qualità. La differenza vera mi sembra rappresentata dalle due turiste asiatiche, igieniste. L'Europa si somiglia abbastanza. Ma preme un altro mondo.

mercoledì 9 luglio 2014

BRASILE: L'INFERNO PER UNA SCONFITTA


Debbo farmene una ragione. Mi è più facile capire (capire, non giustificare) la sconcezza di uno stupro o la ferocia idiota del terrorismo e del fondamentalismo. Ma capire le lacrime a dirotto di un intero Paese, il Brasile, gli incendi e le devastazioni per una stupidissima sconfitta nello stupidissimo sport del calcio è al di là delle mie capacità empatiche. Una sconfitta che fa male più di un amore perduto, più di un posto di lavoro perduto. Apprendo che nel '50 la sconfitta ad opera dell'Uruguay nel campionato del mondo costò al Brasile 54 suicidi. Dobbiamo aspettarci una strage? Qualcuno mi aiuti a capire.

venerdì 4 luglio 2014

IL PRIVATO NON CI COSTA NULLA?


Premetto che ritengo ottimale il rapporto 1/10 fra il meno pagato e il più pagato, come suggerivano l'imprenditore Adriano Olivetti e - credo di ricordare - il Presidente della Cina comunista (allora) Mao Tse Tung. Ciò premesso, Floris va alla 7 e così anche il martedì guarderò la 7. Era l'unico giorno in cui seguivo la TV pubblica. Il direttore Rai aveva offerto 600.000 euro annui a Floris. La 7 gli offre 4 milioni per tre anni. Insomma, più del doppio. Che diavolo ci farà Floris con tanti milioni? Beh, di questo si discuta nel capitolo "Il denaro che mai spenderò: la follia del XXI secolo". Del resto Prandelli guadagnerà più di Floris e più di prima (malgrado i recenti insuccessi), trasferendosi in Turchia e nel privato. Molto meno di Mourinho, molto meno di Marchionne. Spero siano tutti felici di contemplare i risultati del loro talento. Del resto, loro, Prandelli, Marchionne e ora Floris non ci costano nulla. Dicono. Così dice il pensiero comune vincente. Noi - i poveri tartassati cittadini - (sono populista quanto basta?) pagavamo il Floris di Rai Tre, come il Prandelli della nazionale. Quello che invece fa la 7 con Floris e il Galatasaray con Prandelli non ci riguarda proprio. Davvero? Davvero i costi del contratto di Floris non si scaricano sui cosiddetti tartassati? Non come imposte visibili. Ma come costi inclusi nelle marmellate che consumiamo al mattino - via costi della pubblicità e dei marchi - direi proprio di sì. Dovrei dimostrarlo? Inutile. Ci costa Floris ingaggiato dalla TV pubblica, come più volte denunciato dal difensore del popolo, Brunetta. Come ci costano i manager pubblici e - perché non dirlo? - gli insegnanti e i medici del settore pubblico. Che infatti l'Italia che cambia verso punisce o tagliando le esagerate retribuzioni o confermando il blocco dei contratti. A me sprovveduto sembrerebbe ragionevole che le retribuzioni del pubblico fossero confrontabili con quelle del privato. E che le une e le altre fossero egualmente "tosate" da imposte autenticamente progressive. Fino ad avvicinarsi all'ideale olivettiano (e maoista) del rapporto 1/10. Magari sarà per il prossimo secolo, appena esaurito il senso comune populista su cui converge la distrazione di massa della destra e l'impotenza della sinistra che offre scalpi invece che giustizia.

lunedì 30 giugno 2014

In margine a "International air show": il comando al femminile


La sinistra ha protestato, come d'uso, contro l'inquinamento acustico e i costi della manifestazione sul cielo di Ostia. Magari protesto anch'io. Ma preferisco dire cose "marginali". Sennò chi dice le cose marginali? Mia moglie era in ansia per quegli aerei che volavano così in basso sulla spiaggia. Infatti abbiamo lasciato presto la spiaggia raccogliendo asc...iugamani e sedioline. Ero un po' in ansia anch'io. Che però non potevo dirlo. Con invidia per le donne che possono esprimere tranquillamente emozioni e paure. Però per me lo spettacolo era costituito dal primo volo, quello dello stormo guidato dal capitano Valentina Papa, normalmente in servizio sui cieli dell'Afghanistan. Il pubblico ascoltava in diretta gli ordini di Valentina e il suo dialogo con la torre di controllo. Ero affascinato dalla voce di Valentina, limpida, sicura. Sarei rimasto dopo solo per confrontarla con quella di un comandante uomo. Comunque nessun "io" neanche sottinteso. E neanche alcun "voi". E nessun imperativo. Solo la descrizione di quello che lo stormo si apprestava a fare. E poi solo avverbi: "su", "giù", "a destra", " a sinistra". Guidare senza comandare, così mi sembrava. Forse è per tutti i comandanti così, ma non so. Avevo l'impressione che fosse un comando al femminile. Poi tornando a casa - guarda caso - ascolto Mixer di Minoli a radio 24. Racconta del programma Apollo. Così apprendo che i test della Nasa avevano individuato in una donna il pilota con i migliori requisiti psicofisici. Successivamente la Nasa aveva scoperto che quel livello così alto era comune a molti ufficiali donne. Ma non fu scelta una donna. Prevalsero altre ragioni: di immagine e di comunicazione. Fu scelto Glenn. Accidenti, mi pare che questo continui a succedere. E costa. Un milione di anni fa le donne iniziarono a pagare il prezzo di una muscolatura meno potente. Continuano a pagare quel retaggio che si trasformò in cultura e senso comune. Sempre meno, ma continuano a pagare. Sempre meno perché la determinazione, il gusto del lavoro ben fatto, l'orientamento al servizio compensano sempre più lo svantaggio di Eva. Guarda un po' a cosa mi ha fatto pensare oggi Valentina Papa...

sabato 21 giugno 2014

All'inizio era il verbo (e il Senato)


All'inizio era la parola. Senato. Il luogo dei vecchi saggi. Si pensò che dovesse deliberare, da solo o col principe. Un tempo. Poi inventarono la democrazia. Il potere del popolo che affida le decisioni ai suoi eletti. Convivenza ed equilibrio fra due concezioni e due poteri: Camera dei rappresentanti e Senato. Intanto il Senato, tranne qualche traccia fossile (età degli eletti e degli elettori, senatori a vita) diventava sempre più democratico. E sempre più inutile. Anzi nocivo perché "slow", nocivo perditempo. Incompatibile con l'era della rottamazione del vecchio e dei vecchi. Bene. Allora lo eliminiamo. Risparmiamo fra l'altro tanti quattrini: argomento sensibile nella seconda Repubblica e ancor più in questo suo scorcio attuale. Ma no, non si può. Non ho capito perché. Ma ci saranno ragioni profonde. Quali siano nessuno lo sa. Perché ora si chiede che faccia questo. Poi che faccia quello. Poi quell'altro. Ora addirittura che possa chiedere di riesaminare una legge votata dalla Camera (basta 1/3 dei senatori per chiederlo). E la composizione cambia continuamente nel corso delle trattative. Non elettivo? No, elettivo di secondo grado. Con rappresentanti delle Regioni? No, meglio dei Comuni. Anzi con i primi e un pizzico dei secondi. Con senatori nominati dal Presidente della Repubblica? No, anzi sì. E perché non l'immunità? Sì, aggiudicato. Ma insomma bisognava trovare qualcosa per riempire di un qualche contenuto un nome glorioso? O non si sapeva cosa fare di Palazzo Madama? Un museo, no? Strani i riformatori movimentisti e semplificatori. Che preferiscono le complicazioni e risparmiare 100 anziché 1.000.

venerdì 20 giugno 2014

Il Paese della felicità batte l'Italia


Il Paese più felice del mondo, il Costarica, batte l'Italia. Il Costarica, valutato come il Paese in cui si vive con più felicità. Qualità ambientale, niente Tav né Mose, tasso di alfabetizzazione al 96%, bassa conflittualità e basso tasso di corruzione, niente esercito, niente F35. Facciamocene una ragione e una consolazione. Sale lo spread della felicità, il più concreto, l'unico che conta, ma sale solo se facciamo una malattia di una sconfitta minore.

giovedì 19 giugno 2014

C'è posto nel carro?


Ho postato recentemente qualcosa sulla ministra Boschi. Poi sulla ministra Madia. Qualcosa di elogiativo. Ho interpretato la mia motivazione come un desiderio (ed una esibizione) di carenza di pregiudizi. Infatti ero stato assai perplesso a suo tempo per quelle nomine. Ieri a Otto e mezzo ho seguito l'intervista al sottosegretario Del Rio. Mi è piaciuto il sottosegretario: sobrio, misurato, informato, per nulla sprezzante verso chi dissente. Mi è venuta voglia di dirlo. Però mi assale un dubbio su me stesso. Sto continuando i miei esercizi di apertura mentale contro i pregiudizi? Oppure sto tentando di salire, come tanti, sul carro del vincitore? Non mi rassicura il pensiero che non ho nulla di tangibile da condividere nel carro: incarichi, benevolenza, etc. Forse semplicemente sono stanco di dissentire. Forse semplicemente voglio condividere la nuova passione nazionale. Come per la nazionale di calcio. Per stare al calduccio del conformismo nazionale. Vediamo. Come cartina di tornasole aspetto di verificare se mi entusiasmerà fra poco anche l'iper-renziano neo sindaco di Firenze, Nardella. Se gli perdonerò la pochezza e la scarsa fantasia del "Mineo chi?". Intanto è bene che io cominci a fare esercizi in senso inverso. Comincio. Nel discorso appassionato del dissidente senatore Tocci all'Assemblea Nazionale PD non mi è piaciuto l'inizio. O almeno mi ha lasciato qualche dubbio. Prima di iniziare la critica puntuale alle riforme renziane, nel metodo e nel merito, ha sentito il bisogno di un elogio sperticato al premier-segretario per la vittoria, per il 40.8% ed altro. A che pro questo? Immagino per non apparire pregiudizialmente ostile. Però mi sono chiesto: "Perché è così indispensabile apparire non ostile"? Io non ricordo di aver premesso a mia figlia il maledetto giorno in cui 60 o più anni fa la sculacciai: "Sei molto brava, buona e simpatica, però.." E nulla di simile feci con il dirigente che nel corridoio del mio centro mandai clamorosamente a quel paese, con urlate irriferibili, più o meno 40 anni fa. Non gli dissi prima: "Lei è un padre esemplare e un esperto di calcio, ma...". Non so se sono cambiato io o cosa è cambiato. Prima di dire: "Non mi piace per niente l'Italicum e neanche le altre cosiddette riforme" debbo elogiare Boschi, Madia e Del Rio. E possibilmente Renzi. Credo che mi serva una consulenza.

venerdì 13 giugno 2014

Gomorra o Song e' Napule


Ho visto Song' e ' Napule pensando a Gomorra. Non molto tempo è trascorso da quando Berlusconi attaccava Saviano. Per colpa di persone come Saviano la mafia italiana è la più famosa nel mondo. E invece è solo terza nel mondo, diceva Berlusconi, non so se documentato una volta tanto. Il leader della destra italiana vestiva panni patriottici. Patriottici ed ambigui. In sintesi: i panni sporchi si lavano in famiglia. Naturalmente l'opposizione – diciamo la sinistra - aveva facile gioco a replicare. Non è Saviano, non è la sua denuncia la causa del discredito di una città o di un Paese. Chi vuole combattere il discredito, combatta la camorra, non Saviano. La cosa curiosa è che poi a Napoli la sinistra o almeno il sindaco De Magistris abbia attaccato la neoproduzione Sky Gomorra con argomenti analoghi a quelli di Berlusconi. Magari un tantino meno rozzi, ma insomma simili. “Napoli e Scampia non sono solo camorra; c'è ben altro.” E' vero: ci sono associazioni e parrocchie attive nel sociale e nella lotta alla camorra. Ma questo non cancella che la camorra ci sia e eserciti la sua egemonia. Rende più meritevoli di elogio quelli che contrastano il degrado in un contesto così difficile e che non si sentiranno offesi nella loro napolitanità ma piuttosto sostenuti da un cinema impietoso e militante. Perché, al netto del gioco delle parti per cui sempre i governi coglieranno il meglio e le opposizioni il peggio, le domande sono: 1.Qual è il saldo della denuncia nei suoi effetti riparatori e nei suoi effetti di discredito? 2.Possiamo chiedere ad un'opera d'arte (romanzo, film, etc.) di rappresentare per intero un oggetto, città o nazione che sia? E' descrivibile un oggetto, una città o altro nella sua interezza? All'uscita dal cinema dove ho visto Song e ' Napule, commedia di discreto successo di pubblico e critica, ho pensato davvero che i registi i fratelli Manetti avessero tentato l'impossibile operazione di rappresentare Napoli intera. In realtà sommando due Napoli. Un po' come quando Mentana (e non solo lui) avendo descritto qualcosa di orrendo di una qualche parte politica, aggiunge subito, con fare cosiddetto bipartisan, che però il leader della parte opposta da bambino ha rubato la marmellata. Il protagonista di Song e ' Napule, musicista per vocazione, trova nella polizia, manco a dirlo con l'aiuto del solito assessore, una sistemazione lavorativa. E trova anche l'occasione di esercitare la propria vocazione vera in un'operazione da infiltrato. Si candiderà nell'orchestra di un talento della nuova Napoli canora, quella del neo melodico Lollo Love per cui i giovani e Napoli impazziscono e si aggregano in emozioni condivise. L'orchestra e il mitico Lollo allieteranno la festa di matrimonio in cui sarà ospite l'irraggiungibile boss della camorra. Bene, il film descrive con leggerezza la cultura della banda musicale e del suo capo. L'ingresso del poliziotto musicista è come l'ingresso di un infiltrato in una banda di gangster: supponenza, arroganza e poi, superata la prova, la fratellanza. La banda musicale appare del tutto contigua culturalmente alla banda camorristica. Un po' come siamo abituati a sospettare per molti divi napoletani, calciatori o melodici che siano. E i supporter deliranti appaiono anch'essi contigui, se non altro per la dipendenza. Lo sguardo su Napoli appare quindi critico verso i suoi miti come verso lo sfascio urbanistico e le brutture dei locali con le insegne di plastica e alluminio anodizzato di pessimo design. Non è Gomorra, per lo sguardo leggero dei registi, ma è il contrario dell'apologia di Napoli. E' la conferma del suo degrado. Poi nel finale la svolta. Il cantante, che per l'intero film abbiamo sentito contiguo alla camorra, rivela al poliziotto musicista: “Ah, temevo fossi un camorrista infiltrato”. E benedice l'amore nascente fra la sorella e il poliziotto. Così la camorra diventa un dettaglio di Napoli. Così il film è diventato obiettivo? L'immagine di Napoli è salva? Direi proprio di no. E' un finale posticcio e consolatorio come una bella copertina su un volume unto e bisunto. Si possono fare film che esaltino la bellezza e l'umanità di Napoli. Ma nessun film può descrivere contemporaneamente l'inferno e il paradiso. Se tenta di farlo fa sbiadire l'uno e l'altro. E poi, come lo stesso Saviano ricorda oggi, i riflettori sulla camorra e sulla terra dei fuochi si sono dimostrati un antidoto al malaffare. Se è vero che a Casal di Principe torna dopo vent'anni un sindaco anticamorra come Renato Natale. Anche grazie a Gomorra e alla bella rappresentazione della bruttezza civile.

venerdì 30 maggio 2014

Proprio 90 anni fa: ultimo discorso di Matteotti alla Camera


90 anni fa l'ultimo discorso alla Camera di Giacomo Matteotti, quello che lo condusse alla morte, 10 giorni dopo. Mi piacerebbe sapere che nelle scuole d'Italia quel discorso venga letto e meditato. Le parole di Matteotti che denuncia i brogli e le violenze che, insieme alla legge Acerbo iper-maggioritaria, hanno consegnato la maggioranza assoluta al fascismo. Le interruzioni dei fascisti. La loro arroganza incredibile. A Matteotti che descrive la fuga degli antifascisti intimiditi i fascisti replicano: "Perché avete paura. Perché scappate". La politica ridotta ad esercizio di coraggio fisico. E Turati, fra i pochi a fiancheggiare in aula Matteotti: "Sì avevamo paura come quando in Sila c'erano i briganti". Poi la viltà del Presidente della Camera che invita il leader socialista a parlare "prudentemente" con Matteotti, consegnato al sacrificio che replica: "Io parlo parlamentarmente". Non si ripeterà? Si è ripetuto più volte e continua a ripetersi. Non l'intero copione ma un pezzo qui, un pezzo là, con l'aggiunta di nuove invenzioni. L'altro giorno quasi metà del corpo elettorale non ha votato. Sono portato a credere che tutti voterebbero se esistesse un forte curriculum educativo nazionale. Se, anche con l'esempio di Matteotti, si proponessero esempi di coraggio civile. Modalità di coraggio alternative all'audacia di "Jerri a' carogna", dei giovani che fanno a gara a chi beve di più, a chi picchia il primo passante, a chi brucia il primo clochard, a chi corre nella notte superando il semaforo rosso. . http://www.memoteca.it/upload/dl/E-Book/discorso_di_matteotti.pdf www.memoteca.it memoteca.it

Elena Boschi: la politica è di tutti


Sentita ieri sera ad Otto e mezzo la titolare dell'impegnativo Ministero delle riforme, Elena Boschi. Beh, ammetto, con un sospiro di sollievo. Meglio del previsto, meglio del temuto. Qualcuno impara in fretta. Sicurezza, agenda politica assimilata, zero arroganza. Niente "professoroni". Ok. In spirito di "obiettività" mi azzardo a dire che nel disastro dell'epoca berlusconiana almeno questo dobbiamo all'ex cavaliere: la scoperta che il primo che passa (o la prima, soprattutto la prima per Berlusconi) può fare politica (può...) e magari fare il ministro. Con qualche incidente di percorso, d'accordo. Vedi Minetti. Uno spiraglio verso la fine della politica per professione, verso la politica come dimensione di ogni uomo e donna e servizio a tempo. Berlusconi leninista: "La cuoca governerà lo Stato". Così, perché mi piace ricordare che perle possono nascondersi anche nell'immondizia.

mercoledì 14 maggio 2014

Quanto vale un minatore?


260 morti nella miniera a Manisa, in Turchia. Per ora 260 e centinaia intrappolati a respirare ossido di zinco. Sarà perché sono un po' claustrofobico, ma davvero non riesco ad immaginare una morte peggiore. E non posso fare a meno di chiedermi quale costo avrebbe avuto evitare quella tragedia. Insopportabile? Se sì e se davvero non si poteva fare a meno di estrarre quel maledetto materiale che non so cosa sia ma che serve forse anche a me e che consente ai proprietari della miniera di mangiare aragoste, se serve il prodotto di quel lavoro maledetto, quale retribuzione sarebbe giusta per i minatori di quella miniera? Quella di mercato? Pare di sì: la misera retribuzione che il mercato assegna a quel lavoro conteso da troppi. Oppure no. Si cambia registro. E si decide a livello planetario (si dice: globale) che quel lavoro è retribuito assai più di quello - per dire -dei dirigenti dello Expo, ma anche del divo Marchionne. Io ho voglia di cambiare registro. Chi altri?

domenica 11 maggio 2014

Padrona/e del proprio corpo, padrona/e di sè?


L'autrice del blog* contesta il presunto moralismo delle femministe. Stessi argomenti sentiti ad Otto e mezzo, lo scorso 8 maggio*, dall'autrice di "Siamo tutti puttane", Annalisa Chirico, forse la stessa persona del blog, a giudicare dagli argomenti, contro Lorella Zanardo, candidata Tsipras e autrice del "Corpo delle donne". Per l'autrice di "Siamo tutti puttane" (bel titolo), le femministe moraliste sarebbero diventate, ispirate dall'antiberlusconismo militante, vestali della purezza femminile e nemiche della libertà delle donne. Le donne (e le ragazze) debbono essere libere di esibirsi nella vita e in TV e debbono essere libere di vendere il proprio corpo. La libera negoziazione del corpo non è cosa diversa dal darsi degli uomini in scambi normalmente di altro genere. Ingiusta cioè l'irrisione delle olgettine e quella di Nicole Minetti: giusto servirsi delle proprie risorse - corpo compreso - per la propria affermazione. Beh, non ho difficoltà a dirmi d'accordo con tali tesi di orientamento liberal-radicale. Tranne che su un nodo cruciale. Concordo che non si debba proibire di vendere quello che si ha. Soprattutto se non si offre alternativa alcuna alla candidata alla prostituzione. Che, in linea di principio - è possibile eserciti il proprio lavoro con passione ed entusiasmo e senza avvertire costrizione alcuna. Il punto è nel concetto di "libertà". E' ragionevole ritenere che molte delle prostitute, delle olgettine, delle veline preferirebbero esercitare il mestiere di infermiera o di insegnante, se potessero. E quasi tutte o tutte preferirebbero la professione di manager (ben retribuita) piuttosto che aspirare ad un invito ad Arcore o negoziare uno spazio sui marciapiedi. "Libertà di" quindi ma possibilmente "libertà da" (dal bisogno, dall'ignoranza), come si diceva una volta a sinistra. Le parole si logorano e portano via concetti che dovremmo recuperare. http://abbattoimuri.wordpress.com/2014/04/02/il-sesso-sporco-delle-... http://www.la7.it/otto-e-mezzo/rivedila7/otto-e-mezzo-09-05-2014-13...