sabato 21 giugno 2014

All'inizio era il verbo (e il Senato)


All'inizio era la parola. Senato. Il luogo dei vecchi saggi. Si pensò che dovesse deliberare, da solo o col principe. Un tempo. Poi inventarono la democrazia. Il potere del popolo che affida le decisioni ai suoi eletti. Convivenza ed equilibrio fra due concezioni e due poteri: Camera dei rappresentanti e Senato. Intanto il Senato, tranne qualche traccia fossile (età degli eletti e degli elettori, senatori a vita) diventava sempre più democratico. E sempre più inutile. Anzi nocivo perché "slow", nocivo perditempo. Incompatibile con l'era della rottamazione del vecchio e dei vecchi. Bene. Allora lo eliminiamo. Risparmiamo fra l'altro tanti quattrini: argomento sensibile nella seconda Repubblica e ancor più in questo suo scorcio attuale. Ma no, non si può. Non ho capito perché. Ma ci saranno ragioni profonde. Quali siano nessuno lo sa. Perché ora si chiede che faccia questo. Poi che faccia quello. Poi quell'altro. Ora addirittura che possa chiedere di riesaminare una legge votata dalla Camera (basta 1/3 dei senatori per chiederlo). E la composizione cambia continuamente nel corso delle trattative. Non elettivo? No, elettivo di secondo grado. Con rappresentanti delle Regioni? No, meglio dei Comuni. Anzi con i primi e un pizzico dei secondi. Con senatori nominati dal Presidente della Repubblica? No, anzi sì. E perché non l'immunità? Sì, aggiudicato. Ma insomma bisognava trovare qualcosa per riempire di un qualche contenuto un nome glorioso? O non si sapeva cosa fare di Palazzo Madama? Un museo, no? Strani i riformatori movimentisti e semplificatori. Che preferiscono le complicazioni e risparmiare 100 anziché 1.000.

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