venerdì 12 giugno 2015

La scabbia e il turismo


Se mi dicessero "ospitali a casa tua" potrebbe scapparmi un cazzotto. Potrei anche, se necessario. Ma perché dovrei? L'Italia ha una riserva sterminata di case sfitte e edifici inutilizzati. Uno spreco enorme. Trovo paradossale e vergognoso che città di milioni di abitanti (e di milioni di metri cubi di cemento), come Roma e Milano, trattino da bestie uomini, donne e bambini in fuga dalle guerre. Uomini, donne e bambini per terra, con un panino al formaggio e due toilette per centinaia di persone. I prodi governatori di Liguria, Veneto e Lombardia temono, malgrado le rassicurazioni di tanti operatori sanitari, la scabbia (come la temevano i miei nonni) e temono per il turismo. Non sia mai detto che turisti che fingono di godersi il mare di Rimini si trovino accanto in spiaggia persone con la pelle scura e dall'igiene precaria. O addirittura che gli immigrati siano ospitati in alberghi a 5 stelle. No, le 5 stelle solo per noi. Per loro il pavimento della stazione o magari una stella sola. Per quanto mi riguarda, a casa mia preferirei di no, come preferirei non ospitare senza fondato motivo passanti o conoscenti. Ma in albergo, accanto a me sì. Se il turismo è una esperienza di contatto arricchente col diverso, l'accoglienza e il dialogo con i diversi di noi, magari nella hall di un albergo a quante stelle volete voi, sarebbe assai più gratificante del bagno con ombrellone e coca cola.

lunedì 8 giugno 2015

Quando amo la Sicilia


Sono un siciliano molto critico con la Regione in cui ho vissuto fino alla pensione. Mi è più facile condividere critiche che non elogi alla mia Sicilia. Oggi però sono preso da emozioni diverse. Ho appena sentito le dichiarazioni dei governatori del Nord, Zaia, Toti e Maroni. Tutti rifiutano di condividere il peso dell'ospitalità degli immigrati. Addirittura Maroni minaccia i Comuni lombardi disobbedienti di punirli tagliando quote di trasferimenti. Poi ho ascoltato Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa, territorio che subisce più di ogni altro gli oneri dell'immigrazione e dei salvataggi in mare. Parole nette le sue contro il presunto diritto dei governatori a rifiutare l'ospitalità di poche centinaia di disperati. E parole quiete e orgogliose per la sua Lampedusa ospitale che riesce ad essere vivibile e fare turismo malgrado tutto. Un abbraccio colmo di stima allora per Giusi Nicolini. Mi fa scoprire qualcosa di assai simile alla fierezza per la mia terra cui non ho mai perdonato nulla. D'accordo, la mafia, i maneggi della politica,il familismo, le raccomandazioni, la pigrizia, la presunzione di cui scrisse l'autore del Gattopardo. Ma nessun siciliano pronuncerebbe mai le parole idiote e incivili dei governatori di Veneto, Liguria, Lombardia. P.S. Credo mi passerà presto il momento di sicilianitudine acuta. Per ora me lo godo.

venerdì 5 giugno 2015

Youth, la vecchiaia e quello che non si nomina


Non saprei dire se è un grande film. Dico solo di quel che mi ha suggerito vedendolo. Mi ha incuriosito che Sorrentino – ancora giovane - si ponga con tanta forza il tema della vecchiaia. E quello della morte, l’innominata che riempie i pensieri dei vecchi. I due amici – Caine e Keitel – trascorrano una vacanza in una beauty farm sulle Alpi svizzere. Un contesto che appare dotato di lindore, perfezione e bellezza. Una bellezza che non emoziona. Una bellezza inutile e triste. Così mi è sembrata quella bellezza, vedendola filtrata dagli occhi dei protagonisti ottantenni. Caine , musicista che sembra solo aspettare la fine. Privo di sogni, privo di emozioni, con una vita di successi che intende conclusa. Keitel, regista, invece crede di poter realizzare il suo capolavoro- testamento. Il primo disinveste. Il secondo investe. Sorrentino sceglie la beauty farm – credo- per poter esibire lo sfacelo dei corpi aggrinziti e cadenti. Con autentico sbigottimento. Per il corpo delle vecchie in piscina. Per il corpo nudo avvizzito e cadente del vecchio depresso, dopo un rapporto mercenario. Molto prossimo il clima del film al precedente “La grande bellezza”. Lì il ricordo della bellezza rivelata dal seno scoperto di un amore della gioventù, quando il cinismo non era apparso ancora, anestetico ad una vita senza direzione. Qui l’apparizione magica di un corpo perfetto, quello di miss Universo, davanti agli occhi sbigottiti degli anziani intellettuali. Non c’è nulla da dire o da fare su questo: sul mistero della bellezza che si accompagna alla bruttezza, come della morte che si annuncia e cui non si crede davvero. La propria morte, non quella della Madre di Moretti. Perché la propria morte è cosa imparagonabile alle morti. Mi è capitato di leggere una intervista di Repubblica (16 maggio) a Woody Allen che a Cannes presentava un film fuori concorso: “The irrational man”. In cui il brillante cattedratico decide di riempire una vita che sente vuota, progettando un gratuito omicidio. Lo cito perché in ultima analisi mi riconosco emotivamente in Allen un po’come in Sorrentino, più che in Moretti. Allen, ottantenne, come i protagonisti di Youth, che dice: ”. Evito i grandi temi. Perché non ci sono risposte positive. Tutti saremo prima o poi nella stessa posizione, la peggiore. La vita non ha senso neanche se sei stato Leonardo o Beethoven. Altro non mi resta che distrarmi e distrarre gli altri”. D’accordo. La filosofia che viene prima della politica. Che a tutto potrebbe dare risposte, tranne che all’essenziale.

martedì 2 giugno 2015

La festa è ribellarsi


L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Da tempo recitiamo l'art.1 della nostra Costituzione con una sorta di sorriso. Come per una formula inutile. Io credo invece che la sinistra debba imparare a dirla sul serio. Cioè pretendendo l'attuazione di una promessa fin qui del tutto tradita. La promessa è tradita se è condizionata da se e ma. Se non vale per tutti. Il patto è tradito se anche uno solo non esercita il diritto effettivo al lavoro, volendo e potendo lavorare. E' tradito se i giovani che si affacciano alla vita trovano ogni posto occupato: dalle corporazioni, da chi dice "questo è mio". Il 2 giugno del 1946 per la prima volta votò la metà ignorata del popolo: le donne. Oggi non vota la metà degli italiani, uomini e donne. Anche questo è tradimento. E' tradimento un sistema che non offre rappresentanza e consegna tutto il potere ad una minoranza, la più grossa delle minoranze. Perciò ribellarsi è giusto. Fermarsi tutti e voltare pagina. Nella legalità costituzionale.

lunedì 1 giugno 2015

Quando si perde la bussola


Apprezzavo molto Ichino, fin da quando (anni 80) lessi il suo "Il collocamento impossibile". Rompeva con le pigrizie e i silenzi della sinistra. L'ho apprezzato anche come teorico della flexsecurity, benché per la verità la mia opzione resti il socialismo. Ora non è mi è chiaro come Ichino si riconosca nella flessibilità senza sicurezza di Renzi e del Jobs Act. E questa banale provocazione dialettica che posto mi delude del tutto. Sostiene Ichino un'apparentemente impeccabile equazione. Se sinistra è ciò che giova ai lavoratori, ai lavoratori (italiani) giova che Marchionne sia pagato a caro prezzo (31 milioni, ma con benefit qualcuno dice: 162) per sottrarlo ad altri paesi. Ragionamento impeccabile o quasi. Ma a che giova scomodare la "sinistra"? Ichino potrebbe dire semplicemente che le ragioni e le strategie della sinistra sono perdenti. Che la destra (o il liberismo) ha vinto anche perché non c'è salvezza altrove per i lavoratori (o per i molti inoccupati aspiranti lavoratori). Ergo, lavoratori di tutto il mondo, competete e fatevi guerra per conquistare Marchionne. E, siate furbi, abbassando i vostri salari e comprimendo quelli che si chiamavano diritti. Ecco, se Ichino si esprimesse così, gli confermerei la mia stima, ritenendo che semplicemente ha cambiato bussola. Io intanto conservo la mia e chiedo alla sinistra di ingaggiare la difficilissima lotta contro la competizione al ribasso fra i lavoratori nel mondo. Anche nell'interesse del povero Marchionne. Giacché sono convinto che egli non abbia idea alcuna di cosa fare dei suoi 31 o 162 milioni di euro. La sinistra riscopra l'ovvio sepolto dalla stupidità del pensiero corrente.