lunedì 7 novembre 2016

Fuori, fuori: da che?


Il “fuori fuori” della Leopolda urlato contro i protagonisti del primo PD ha un suono sinistro. Lo ha per l’apparato narrativo, non già per il merito. Chi disegna il recinto rispetto al quale ci si possa dire dentro o fuori? Si potrebbe dire lo Statuto o il Manifesto dei valori. Ho provato a rileggere il Manifesto dei Valori del PD (2008). Beh, mi è sembrato che dentro possano starci comodamente sia Renzi che Bersani. E anche Fassina e Civati. E anche Alfano. Magari Monti. Magari addirittura Meloni. Nessuno legge manifesti e statuti. Neanche prima di chiedere una espulsione dal recinto. Perché i manifesti sono vaghi e hanno bisogno di interpreti. Nel PD oggi l’interprete è Renzi. Come nel M5S è Grillo. Con la differenza che il secondo, da fondatore (id est “da padrone”) del movimento, decide chi è fuori linea, chi da ammonire, chi da perdonare, chi da espellere. Io non credo affatto che le espulsioni siano in sé non democratiche. Mi pare ovvio e desiderabile che si dimetta o sia espulso chi fuoriesce dai valori del recinto. Renzi però non ama le espulsioni. Preferisce le dimissioni. Ancor più preferisce che gli oppositori ci siano, che schiamazzino e non contino. Perché i “traditori”, quelli non obbedienti al leader, sono indispensabili per aizzare la folla. Il “traditore” interno al partito è figura assai più stimolante del normale avversario esterno (Berlusconi, Salvini, Grillo). Più stimolante per stringere le fila attorno al capo. Così il capo, novello Marco Antonio scespiriano sul cadavere di Cesare (il partito), aizza la folla contro i traditori, magari dopo professioni di rispetto (formula usata e abusata da Renzi e consapevolmente ipocrita). “E Bruto è uomo d’onore” diceva Marco Antonio. Lo diceva da spregiudicato provocatore fino a indurre la folla ad apparentemente contraddirlo: “Non uomini d’onore sono; traditori sono”. E si dispiaceva –così diceva Marco Antonio - di aver provocato tanta ira e rivolta. Lui uomo buono e aperto, circondato da traditori.
Ecco, questo apparato narrativo mi sconvolge assai più delle arbitrarie espulsioni grilline. Forse è un problema di estetica. O forse no. Mi sconvolge forse l’immagine del partito in cui ho militato, ridotto a figuranti che fischiano, applaudono e gridano “fuori” secondo un copione scritto da altri.
Credo di capire che oggi i recinti statutari e valoriali sono vaghi perché i partiti sono scatole vuote acquisibili dal miglior acquirente. Forse è inevitabile così perché nulla come una faccia può disegnare oggi i confini del recinto. Solo l’arbitrio personale cioè. Le narrazioni vincenti hanno sconfitto la storia lenta dei partiti, i partiti che evolvevano con te sicché non avvertivi discontinuità e sconquassi ad ogni nuovo segretario. Oggi un leader nuovo pretende un partito nuovo. conservando il marchio del vecchio e del suo patrimonio di fedeli alla Ditta. Pessima parola “La Ditta” vorrei dire al Bersani dai troppi errori. “Ditta” sa di bandiera futile del tifo per una squadra in cui siano cambiati giocatori e proprietari. Bersani disse qualcosa anni fa che mi piacque. Disse: “Sinistra è credere che non puoi star bene se gli altri attorno a te gli altri non stanno bene”. Io mi riconosco in quel valore, non in una bandiera che passa di mano in mano. Perciò chiedo a quel Bersani di non permettere più agli invasati di gridargli ”fuori”, mentre Marco Antonio volge il capo per celare il sorriso compiaciuto. Chiedo a Bersani di uscire da quel recinto e cercare i compagni con cui costruire la sinistra.

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