martedì 31 gennaio 2017

Frammenti di verità sul trenino di Ostia

Conosciamo poco degli altri. Solo quello che essi ci consentono. A volte ingannandoci. Intenzionalmente o dopo aver ingannato se stessi. Infatti non sono certo di conoscere di più quelli che mi stanno vicini – familiari ed amici – che non quelli che incontro casualmente. La rete è un'occasione. Lì apprendi molte cose e apprendi comportamenti umani da interpretare per capire con chi parli, se ti interessa capirlo. Un'altra occasione è il mio trenino Ostia-Porta S. Paolo che frequento occasionalmente. Sono arrivato alla conclusione che percepisco più verità lì sul trenino che nella rete o nei rapporti quotidiani. Per il semplice fatto che lì, sul trenino, le persone si svelano con minori remore. Sanno che non mi incontreranno più e sanno che non debbono attendersi nulla da me. Nell'ultimo viaggio una intensa mezz'ora di svariate piccole verità. Ottimo esordio con il giovane più o meno trentenne che mi cede il posto. Il mio solito schermirmi (ma no, ma no) il solito rammarico perché – accidenti- mi sento giovane, ma sembro anziano. Seduto, però osservo comodamente il mio vicino e mi faccio le solite domande da investigatore gratuito. E' un mio coetaneo con una cartella di plastica. Saranno analisi cliniche? Andrà in ospedale? Non riesco a leggere. Poi lui mette fuori un libriccino. Leggo: Le massime di Epitteto. Con testo a fronte greco- italiano. Sarà un professore di greco in pensione? Non è detto. Se lo fosse leggerebbe senza bisogno di traduzione. Passo il mio tempo così. Cercando di capire cosa sta raccontando di Epitteto alla moglie che pare interessata. Con ricadute successive a casa dopo, al computer ripassando Epitteto. Questi del resto sono i meccanismi extrascolastici dell'educazione permanente. Poi sul trenino c'è una presenza sgradevole. Quella di un giovane che passeggia barcollando, strafatto di alcol o di altro. Farfuglia qualcosa. Di colpo si rivolge ad una ragazza, la più carina fra le molte sedute con smartphone. Le chiede di usare il suo smartphone per una telefonata. Lei dice sì. Subisce? Sospetto che il giovane strafatto non abbia alcun bisogno di telefonare. Sospetto che il suo sia solo un pretesto di “abbordaggio”. Se no, perché ha scelto la più carina? Ma forse non è così. Infatti va via quasi subito. Io mi sento sollevato per lei. Forse il ragazzo strafatto ha semplicemente compiuto un'operazione – come dire? - di espropriazione, un modo per prendere qualcosa dal mondo. Come faceva ieri quel pensionato che ho visto raccogliere dal secchio dei rifiuti una boccettina, forse un collirio. E mi chiedevo preoccupato:”Ma cosa vorrà mai farne”? L'apriva e la spremeva per vedere cosa ne uscisse fuori. Credo che lui, come il ragazzo, volesse fare manutenzione della propria autostima. “Sono bravo, sono furbo, prendo gratis cose” Boccettine o telefonate.. Quelli che non hanno niente si consolano così.
Durante quel tempo c'è una bella cinquantenne seduta di fronte a me. Ogni tanto mi sorride, dopo avere osservato il ragazzo strafatto. Vuole dirmi che stiamo pensando le stesse cose. Sono convinto che sia slava. Si alza e, prima di scendere, mi rivolge la parola: “Ci vorrebbe Mussolini”. “Addirittura!” Sì, Mussolini e le camicie nere”. Parla un italiano perfetto e senza accento straniero. Le chiedo se è italiana. “No, polacca. Sto qui da 25 anni”. Questa storia di Mussolini non mi dà pace. Le faccio osservare che in Polonia ha conosciuto un regime duro. Perché pensa che serva Mussolini e non il comunismo? Mi dice qualcosa che non capisco a causa del rumore dei freni. Mi saluta e scende. Io penso che avrei dovuto scendere con lei per approfondire l'argomento. Ma le mie intenzioni sarebbero state fraintese. E mia moglie mi aspetta per la cena. Frammenti di verità. Solo frammenti.

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