sabato 28 gennaio 2017

Il cliente: lo sguardo maschile e quello femminile


Ho visto “Il cliente” in compagnia dell'amica Paola Bernardi e dell'amico Giuseppe Ardizzone, amici facebook, ma anche amici “reali”. Lo abbiamo tutti e tre molto apprezzato. La cosa un po' curiosa, anche se non del tutto insolita, è che sembriamo aver visto tre film diversi, almeno in parte. Il film di Asghar Faradhi, talentuoso cineasta iraniano narra gli accadimenti, soprattutto mentali, in una coppia di attori teatrali impegnati nella rappresentazione di “Morte di un commesso viaggiatore”, il dramma che diede la fama ad Arthur Miller. E' evidente l'intenzione di una lettura congiunta fra la storia del film e quella di Miller che è storia del fallimento percepito di un uomo e della sua famiglia. Dopo la visione del film ho letto una intervista al regista che mi conforta in parte nella mia lettura del suo lavoro, pur con qualche perplessità. Ad esempio proprio sul rapporto fra il film e il dramma di Miller. Non mi è chiaro se e perché il regista dia per scontato che gli spettatori conoscano “Morte di un commesso viaggiatore” sì da comprenderne il nesso con la storia del film. L'intervista mi ha confortato invece sull'intenzione di Farahadi di produrre sentimenti forti di empatia, lasciando liberi gli spettatori di scegliere verso chi provare condivisione. Così è successo infatti. Io, ad esempio, ho provato empatia assai forte per il personaggio della moglie.
L'occasione per una resa dei conti emotiva fra moglie e marito è conseguente all'aggressione subita dalla donna, ad opera di uno sconosciuto, nel nuovo appartamento preso in affitto e che si scopre essere stato abitato da una prostituta. Forse sono le tracce fisiche e mentali lasciate nella moglie per la violenza subita a scatenare nell'uomo l'esigenza di conoscere il colpevole e di fare giustizia (o vendetta). O forse è piuttosto l'invincibile senso di proprietà maschile sulla “propria” donna a non dar pace all'uomo. Che troverà il colpevole nella assai intensa conclusione della storia. Solo che i mostri hanno la faccia dei nostri vicini di casa, possono essere vecchi e malati, possono amare, ricambiati, la loro famiglia. Giusto punirli per un qualcosa di anomalo, irregolare o sbagliato? Punirli quanto?
Ho trovato nella pietà della donna aggredita verso l'aggressore, ora inerme ed atterrito, un eco della pietà della indimenticabile madre (Shelley Winters) verso l'inerme assassino del figlio nel film probabilmente più bello di Monicelli “Un borghese piccolo piccolo”: la pietà come dimensione femminile contro la vendetta maschile. Del resto Farhadi ammette il suo debito verso il cinema italiano. Aggiungo che non troppo diverso dal nostro clima in epoca neorealista è il clima che Farahdi ci trasmette della società iraniana. I rapporti di vicinato, gli uomini, le donne. Tranne quel velo sul capo di tutte le donne che sembra quasi una sovrastruttura, uno scudo, una concessione ad un potere politico-religioso che non sa o non vuole comprimere troppo la vitalità della società iraniana.

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