domenica 2 aprile 2017

Erano tutti miei figli: attualità del familismo assassino e delle sue varianti


Torno dal Quirino di Roma dove ho assistito alla rappresentazione di “Erano tutti miei figli” di Arthur Miller. Con particolare emozione. Il teatro fu la mia scoperta giovanile: in particolare Shakespeare, Sartre e Miller. Prediligevo nel teatro la dialettica fra i protagonisti che non ha soluzione e spesso la pietà sui carnefici e vittime dei conflitti. “Erano tutti miei figli” poi ha rappresentato la mia prima prova impegnativa da dilettante. Osammo rappresentarlo, io e compagni di lavoro, nel centro di formazione professionale in cui lavoravo. Era il 1979. Epoca di pedagogia appassionata e un po' retorica. Con il mitico tentativo di incontrare la classe operaia. Mi feci crescere i baffi allora per invecchiarmi un po' ed interpretare Jo Keller, il magnate protagonista sessantunenne. Ora, riprovandoci, dovrei compiere l'operazione inversa di ringiovanirmi.
Mi piaceva l'opera giovanile di Miller per il suo impegno quasi ingenuo, quell'impegno che mise Miller, poco dopo, sotto l'indagine spietata del maccartismo. Straordinaria allora, nel 79, ed oggi l'attualità del dramma. Il conflitto irrisolvibile fra le ragioni familiari e quelle della comunità. E la scoperta dei meccanismi culturali che ancora oggi nella coscienza dei protagonisti e dei loro familiari complici giustificano i crimini contro l'umanità. “Io vivrei con 25 cent al giorno” dice l'industriale protagonista. “Quel che ho fatto l'ho fatto per la mia famiglia.” Per la famiglia è lecito anche mettere in conto il rischio di uccidere vendendo al governo pezzi difettosi per aerei di combattimento. Miller esplora sgomento i meccanismi di autoassoluzione, insieme ai silenzi e alla scelta di non sapere e non capire della famiglia. Jo Keller capirà infine che c'è un mondo oltre le pareti domestiche del quali portiamo la responsabilità. Capirà che erano tutti suoi figli, anche i piloti caduti per sua responsabilità. E la scoperta sarà insostenibile. Mi è capitato qualcosa di imbarazzante durante la rappresentazione. Soprattutto nei momenti in cui Chris, figlio dell'industriale e voce del Miller impegnato, espone sdegno per una società così “pratica” in cui tutti sono dediti agli affari e in cui tutti sono contro tutti. Perché quelle lacrime imbarazzanti? Non credo solo per l'intensità del testo. Mi sono convinto che piangevo me stesso rivivendo qualcosa accadutomi 38 anni fa e pensando che 2 su 5 degli attori di allora non ci sono più.

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