domenica 4 giugno 2017

La competenza ignorata


La competenza di cui si straparla – oggi chiamandola spesso “merito”, ieri “professionalità” - non è quella del cameriere anziano ed esperto che serve a me e a mia moglie il caffè nel locale storico in piazza. Dove si va quando si ha voglia di vedere gente (compreso l'immancabile banchetto 5Stelle) e prendere il sole, se c'è. Sapendo di pagare quattro euro i due caffè per pagare la rendita di posizione del bar. Quattro euro invece che due. Ma non cinque. Invece il cameriere – unico italiano fra camerieri egiziani e slavi – si scorda sempre di portare il resto. Magari fingendo (con se stesso?) che sia una mancia obbligata. Si dà il caso però che io sia contrario alle mance come alle estorsioni. E che mia moglie si innervosisca più di me al ripetersi della dinamica. Sicché ogni volta, dopo aver sperato che a servirci sia il cameriere egiziano o la cameriera slava, se ci serve l'italiano il rito del caffè è avvelenato un tantino. E anche i rapporti coniugali ne soffrono un tantino. Perché, pur ottenendo il resto ogni volta, dopo una o due sollecitazioni, mia moglie trova intollerabile che io le chieda di tornare in quel bar. Dove andiamo sempre più raramente.
La competenza invece è quella della cameriera del ristorante-pizzeria vicino. Affollatissimo. Con i tavoli sempre più numerosi in piazza, oltre che dentro. L'ultima volta ancor prima delle venti a fatica conquistiamo un tavolino. Per del cibo così così, spaghetti e riso entrambi molto al dente. Forse perché i fornelli hanno troppa fretta di cuocere, vista la fila ai tavoli. Però quello strano tipo che son io si sente appagato egualmente. Perché guardo l'efficienza straordinaria dei giovani – ragazze soprattutto- che servono ai tavoli. Ognuno/a che insieme fa più cose: prende ordinazioni, sparecchia il tavolo accanto, fa segno al compagno di lavoro, sorride al tavolo di fronte per dire “arrivo”. Poiché cerco sempre segni d'altro nelle piccole cose, lo spettacolo della passione, della fatica e della competenza giovanile mi sollecita qualche speranza nel futuro. Dulcis in fundo, la ragazza carinissima che più si occupa di noi, scorgendo un attimo di perplessità nei nostri sguardi perché siamo rimasti senza forchette, ci regala un sorriso splendido. “Non vi abbandono” ci dice. Un sorriso e una esibizione di competenza vera che da soli valgono il prezzo della cena.
P.S. Mi capita di chiedermi quanti imprenditori siano consapevoli del valore dei loro collaboratori o anche della loro nocività. Penso siano pochini. Troppo intenti a fare i conti, troppo intenti a cercare il contratto meno oneroso. Insomma non immagino molti imprenditori capaci di valutare la competenza. E neanche il sindacato può farlo. Numeri. Camerieri. Ricercatori. Insegnanti. Tutti accomunati da una qualifica che li fa apparire eguali. Con la stessa qualifica nella scuola uno apre le menti alla curiosità, l'altro le chiude. Con la stessa qualifica uno ti avvelena un ottimo espresso, l'altra ti intenerisce gli spaghetti troppo al dente. Neanche il sindacato può distinguere. Teme, con ragioni inoppugnabili, di dividere distinguendo. Teme che il giovane ricercatore che troverà la soluzione alla malattia più difficile finisca con una paga di trecento euro al mese. Contro i duecento di chi non trova e non cerca niente. Vero. Infatti la soluzione va cercata proprio altrove. Non nelle dinamiche avvelenate del mercato. .

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