mercoledì 25 ottobre 2017

10 anni dopo: lettera ad Anna Frank, Italia, 24 ottobre 2027


Oggi è il 24 ottobre del 2017. Ti scrissi la prima volta dieci anni fa per chiederti scusa. Dieci anni dopo tutto è cambiato. Lo avevamo promesso: ci siamo riusciti. Quelli che ti insultarono non ci sono più. I minorenni furono sottratti alla potestà genitoriale. Sono altre persone. Oggi uno è custode del museo a te intitolato, uno è fra i maggiori studiosi dell'Olocausto, uno è stato fra i protagonisti del cambiamento di un'Italia che sembrava perduta.
La svolta fu quando il Paese si fermò. D'improvviso fu chiaro agli italiani smarriti che qualcuno aveva suggerito i bersagli sbagliati: gli immigrati, l'Europa, gli ebrei. Lo aveva fatto perché i privilegi dei proprietari del mondo non fossero minacciati. Una grande operazione di distrazione di massa.
Un giorno, d'improvviso, accadde che gli esclusi gridassero insieme: “Il mondo non vi appartiene. Il mondo è nostro”. Non ci fu violenza alcuna. Bastò la nuova consapevolezza perché il vecchio ordine crollasse.
Prima sbagliavamo tutto. Eravamo divisi fra due schieramenti, entrambi ciechi. Il primo, invasato, cercava il capro espiatorio per il proprio disagio o la propria disperazione. Era una gara a chi punisse di più: lapidazioni, castrazioni, roghi.Non si voleva davvero sconfiggere la violenza. Si voleva che la violenza prosperasse per dar senso alla propria risposta violenza che riempisse il vuoto della vita. Il secondo schieramento (lo chiamavamo dei “buonisti”) era indulgente ed assolveva, ma lasciava tutto com'era. Accoglieva migranti, li abbandonava nei piazzali delle stazioni a non far nulla o a delinquere, esposti alla violenza dei penultimi, adepti del primo schieramento. E confinava i giovani in vecchie aule scolastiche ad ascoltare prediche incomprensibili. Con i genitori pronti a picchiare docenti mal selezionati e mal pagati. Dall'altra parte molti davano la colpa di tutto addirittura alla sociologia. Dicevano che spiegare il male significava assolverlo e giustificarlo. Dicevano che la cosa giusta è non capire: cioè l'ignoranza. Poi cominciò ad esser chiaro che dovevamo capire per prevenire. Capimmo anche che era utile e giusto però punire. Per non assolvere noi stessi e i nostri fallimenti. Capimmo che filosofia, sociologia e intelligenza dei fatti sono preliminari alla politica, non alternative alla politica. Sposammo allora comprensione (intelligenza dei fatti) per la quale ognuno è innocente e punizione, reinventando la responsabilità personale, invenzione senza la quale il mondo è ingovernabile. Ora i migliori medici si dedicano ai malati più gravi e non ai più ricchi e i migliori maestri si dedicano non agli allievi migliori, ma ai peggiori. Se però i migliori maestri non riescono ad educare e i peggiori allievi inneggiano all'Olocausto, i maestri sono retrocessi ad educatori dei migliori (quel che prima era promozione) e gli oltraggianti ripuliscono la città e/o pagano per anni o per sempre un risarcimento (in denaro o in lavoro). E normalmente, a distanza di tempo, ringraziano per la punizione ricevuta, riconosciuta come segno di attenzione; così è successo a chi ti offese. Spariscono man mano i tifosi dei figli mentre padri e madri imparano forme nuove di collaborazione con i maestri. Mentre spariscono pian piano i tifosi delle curve perché ora si preferisce essere in campo e non sugli spalti. Anche nella politica il protagonismo sostituisce il tifo. Non abbiamo realizzato il paradiso: ci siamo allontanati dall'inferno. Ad esempio è scontato per tutti ormai nel nuovo senso comune che il lavoro è un diritto effettivo di cui nessuno può essere privato. E' sempre più chiaro a tutti che la ricchezza è prodotta dal lavoro e che l'inoccupazione è spreco Adesso siamo impegnati soprattutto ad imparare ciò che prima sembrava non influente: che il lavoro è un dovere ed è doveroso dare il meglio di sé per chiedere di avere il meglio dal mondo. Tutto cominciò forse da quel 24 ottobre di dieci anni fa.

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