venerdì 16 marzo 2018

The disaster artist e noi che cerchiamo di lasciare il segno


Debbo farmene una ragione. Da qualche tempo nessun film riesce a prendermi davvero. Almeno da un anno. Deve essere un problema mio. Ieri al cineclub di Cineland di Ostia durante la visione di "The disaster artist" le signore (sono quasi tutte mature signore i cinefili del cineclub) ridevano di gusto. Io mi sforzavo di ridere, ma senza riuscirci. E poi dotte presentazioni di esperti e dotte conclusioni. Posso riconoscere che le intenzioni di James Franco, regista-protagonista erano ottime e straordinariamente interessanti. Il film è la storia di un flop artistico che diventa un trionfo su Youtube. "The room" di tale Wiseau fu giudicato il peggior film dell'anno per la buffa sproporzione fra investimento artistico (e finanziario) e risultati artistici (e finanziari). Infatti pare che su Youtube impazzi: non come dramma, ma come divertimento e occasione di lazzi. Non dirò che il film di Franco meriti la stessa fine. L'autore cerca di rappresentare la follia di un'ambizione artistica non sostenuta da talento alcuno. Lo fa con simpatia e condivisione. Ma a me che evidentemente attraverso un periodo nero come spettatore non procura emozione. Mi appare non un film memorabile, ma una splendida intenzione. "Splendida" perché vi ho visto tanto di vero al di là dell'episodio specifico. Vi ho visto personaggi, amici, me stesso. Tutti follemente alla caccia di un proprio capolavoro da lasciare al mondo: un film, un romanzo, un saggio, un progetto politico, magari un post su facebook che inchiodi una volta per tutte Renzi (o Grillo o Salvini) alle sue responsabilità. Ipotizzo solo questo: che un capolavoro non può nascere a tavolino per la mera urgenza di produrre un capolavoro. Né nell'arte, né nella politica ovviamente.

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